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I giochi dei ragazzini quando eravamo poveri -

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Transcription

The transcription is about childhood games and the belief that words have power. The children played games like "pega" and "ham salam" which involved jumping and avoiding lines. They also played a game called "muffa" where they would touch each other and pass on an invisible "mold". The children believed that saying the word "muffa" would make it real. This belief in the power of words is not just limited to children, as even adults fear mentioning certain diseases. www.redijoe.it e la storia continua. I giochi dei ragazzini quando eravamo poveri. La storia di un ragazzino che si è sconfitto di essere un po' più forte. La storia di un ragazzino che si è sconfitto di essere un po' più forte. La storia di un ragazzino che si è sconfitto di essere un po' più forte. I ragazzini giocavano a pega che non comportava sforzi fisici. Segnato sul terreno con gesso e col carbone un rettangolo diviso in sei caselle numerate, la concorrente doveva, saltellando su un piede solo, spingere da una casella all'altra una scaglia di coccio o uno di quei sassi appiattiti che biancheggiano sul gretto dei fiumi. Se la pega si fermava sulla linea divisoria pagava la penitenza. Più sofisticato, l'ham salam, che imponeva alle giocatrici di saltare sempre a piedi zoppo da una casella all'altra senza toccare la linea divisoria. Ham, gridava la saltatrice, salam rispondevano in coro le altre per confermare la regolarità del salto e dell'atterraggio. E fin qui, niente di trascendentale. Una cosa si complicava in seconda e terza distanza quando alla giocatrice veniva imposto di fare il salto a piedi alternati, poi sempre più difficile, passare dalla casella numero uno alla casella numero tre, alla numero cinque, e infine procedere al zigzag, il titolo di campionessa aspettava chi riusciva a fare tutte queste cose ad occhi vendati. Con la muffa il gioco acquistava un carattere metafisico. Se ai re di Francia, imponendo le mani, arrivano gli scrofolosi, toccandosi con le mani i ragazzini trasmettevano la muffa. Inaspettatamente, mentre si parlava di scuola o di sport, uno gridava al vicino, toccandolo con un guizzo della mano. Muffa, e l'altro, come se fosse stato lordato da una cosa immonda, contaminato dalla peste, si affrettava a toccare un altro compagno. Il primo che trovava. Infatti l'invisibile muffa la si riceveva per contatto, ma bostava anche un contatto successivo per liberarsene. Così, nella brigata, fino a un attimo prima tranquilla, si scatenavano frenetici inseguimenti. Chi aveva ricevuto l'impalpabile muffa aveva una vittima su cui scaricarla. E siccome il datore e il percettore di muffa, pari di età, spesso erano anche nella velocità e nessuno dei due riusciva a sviniarsela, si fermavano insieme, con il cuore in gola e di comune accordo si sedevano buoni buoni, proseguendo in un sorreale io tocco te, tu tocchi me, fino all'infinito. Ovvero, cosa più probabile. Fino a che non passava vicino a loro un ragazzino più piccolo, di gamba corta, sul quale vigliaccamente scaricavano la muffa e poi scappavano, sicuri di non essere raggiunti. Le civiltà primitive credevano che la parola, oltre che immagine, fosse anche parte integrante della realtà. Non soltanto lo specchio, ma l'essenza stessa della realtà. Insomma, parola e cosa si identificavano. Bastava nominare il lupo perché esso arrivi, ammonisce un proverbio tedesco, lupus in fabula, conferma Terenzio. Per quei franciulli dire muffa era come avere la muffa. La parola non avviene forse anche in poesia, la parola crea la realtà. Tanto per le civiltà primitive quanto per franciulli, stagione primitiva della vita umana. Ma non abbiamo finito di sorridere. Anche noi, adulti moderni e progressisti, crediamo alla magia delle parole ogni volta che citiamo, con imbarazzante perifrasi certe malattie, temendo che solo nominarle ne evochi la spaventosa realtà.

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