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Una storia di quando eravamo poveri - Una serata all'arena -

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www.redijo.it e la storia continua Una storia di quando eravamo poveri, una serata all'arena In un giorno nostre, narrano le croniche, vendette mille fiaschi. Un salumiere affettò 750 kg di prosciutto. I giornali locali scrissero, allarghiamo l'arena. Nessuno alla vigilia avrebbe immaginato un afflusso così massiccio di gente venuta ad ascoltare trasfigurata dalla magia dell'arte. La storia della negretta etiope, della quale il poeta Fragio Ocondo, a secondo Giulio Cesare Inzenari, scrisse con l'umore del Verodesi tutti matti. Ne serva in frusina le cioccolate, le li che se la rosina, abilita. Il da Orlando innamorà come una gata. Il successo del 1913 spise gli organizzatori a ritentarlo l'anno successivo con Carmen, in scena il 2 di agosto, ma il 1 di agosto la Germania dichiara guerra a Russia, cui seguono il giorno 3 la dichiarazione di guerra della Francia, e il giorno 4 l'invasione del Belgio. L'Italia è in posizione di tentennante neutralità e ogni buon conto il governo richiama le armi tre classi. L'anno seguente, il 24 maggio 1915, anche noi entriamo in guerra. Verona diventa città di retrovia. La folla salute in piazza Abra, le truppe di retta al fronte. Non è più tempo di battaglie finte fra egizi e etiopi. Bensì di battaglie vere fra italiani e austriaci. Pensando a Radames, un patriota milomene, scrive al comandante supremo Luigi Cadorna «Ritorna vincitor». E nel 1919, spenta sì in Europa la voce del cannone, tornò in arena in Belcampo, il canto, e da allora la stagione lirica veronese divenne un irraggiante centro di sviluppo della cultura musicale popolare. Gran parte degli spettatori sono stranieri. Di questi, la metà parla tedesco. Spettatori esemplari, i primi a entrare quando nel pomeriggio s'aprono i cancelli, felici di rosolare il pallore iperboreo delle loro cosce in bermuda sui gradini arroventati dal soleone. Negli anfratti di pietra si può cuocere anche il nuovo sodo. E appena il tenore si inerpica sulle rampe del pantogramma, come Coppi sul Pordoi, lo seguono con un atonico scrupolo filologico, la pilla accesa sul libretto bilingue. Gli intenditori, stranieri e no, prendono posto sotto l'ala. Dicono che lì l'acustica è perfetta. Una cosa divina, per merito del diavolo, bisogna anche aggiungere. Narra infatti la regenta che un gentiluomo veronese, condannato alla decapitazione per un grave delitto, ebbe dai magistrati la promessa della grazia, qualora fosse riuscito a costruire, nell'arco di una notte, un edificio per gli spettacoli pubblici, che in città mancava, e doveva essere così grande da contenere tutta la popolazione. Essendo un'impresa superiore alla facoltà umane, il condannato si rivolse al re delle tenebre, promettendogli l'anima in cambio del suo aiuto. Satana, contro il pagamento in anime, si prestava comunque servizio, e quella sera stessa, appena tramontato il sole, evocò dall'inferno squadre di diavoli muratori, che lavoravano senza sosta tutta la notte. Purtroppo, all'alba, la campana dell'Ave Maria, musica per loro intollerabile, mise in fuga gli infernali costruttori, che si innabbissarono nel ventre della terra, lasciando incompleta la cinta esterna. Di essa avevano appena cominciato un pezzo di l'ala e tale ala rimase. La gustosa leggenda nasconte un risvolto di verità. La difficoltà per le generazioni e i secoli bui, tecnologicamente arretrate, di immaginare che in un'opera così grandiosa fosse frutto del solo lavoro umano. Dal 1913, milioni di persone accorrono all'Anfiteatro del Diavolo ad ascoltare umanissime storie d'amore. Il sacrificio della Tosca, che per sottrarre l'amante alla fucilazione finge di cedere le voglie del capo di polizia e l'ammazza. I capricci di Carmen, sigaraia civiliana che erotizza un dragone, le fa un disertore e contrabbandiere, poi muore pugnalata. Il musicale tossile di Mimi e di Violetta, protagonizzanti tra baci di tenore e bacilli di coc, prima che arrivassero gli antibiotici a devellare, insieme alla tisi, il melodramma. Tutte le protagoniste finiscono male, secondo la struggente equazione romantica amore uguale morte. Ma il primo posto del cuore delle folle e negli incassi del botteghino spetta alla storia di Radames, generale vittorioso in guerra ma chiacchierone in amore, sepolto vivo come traditore della patria, spartendo con Aida, adorata schiava figlia di re, la scarsa dotazione di ossigeno dentro una tomba a due piazze.

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