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PODCAST .61 IO SONO QUI

PODCAST .61 IO SONO QUI

00:00-06:33

...non preoccuparti, io sono qui con te...

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The speaker had to take a train home due to a car problem. During the journey, the train made an unexpected stop near the speaker's hometown. The speaker noticed a motionless body outside the window and realized it was a person. Rescuers arrived and provided assistance. The speaker initially felt frustrated but was moved by the compassion shown by one of the rescuers. The train eventually reached its destination after a long delay. The speaker reflects on the importance of solidarity and the impact of small acts of kindness. Qualche giorno fa ho avuto un piccolo inconveniente con la mia macchina, così ho dovuto prendere un treno per tornare a casa dal mio luogo di lavoro. Sono una trentina di chilometri, quindi circa mezz'ora di viaggio. Un paio di chilometri prima di entrare nella piccola stazione della cittadina dove vivo, il treno deve effettuare una breve sosta per dare la precedenza al treno in uscita. Avevo urgenza di arrivare quanto prima, così per anticipare l'uscita mi ero avvicinato alla porta più vicina, quella del vagone destinato ai passeggeri con bici, carrozzine o bagagli. Ma ecco che dopo la ripartenza il treno si ferma inspiegabilmente a poche centinaia di metri dalla stazione. Mentre parlo al telefono con mio suocero che mi stava aspettando nel parcheggio agli agenti binari e al quale stavo raccontando dell'altra sosta in attesa, ecco che guardo fuori dal finestrino e vedo qualcosa di strano. Come un corpo di spalle, adagiato sul fianco destro, in quella specie di triangolo che si forma con la biforcazione dei nostri binari e gli altri che deviano verso sinistra. Mi concentro meglio su quanto sto guardando e ancora non riesco a capire se quello sia proprio un corpo coperto da un grosso cappotto o qualcosa di diverso che possa sembrare un essere umano sdraiato sul fianco. Aspetta, ti richiamo fra poco, dico a mio suocero per potermi meglio concentrare sull'annuncio dell'altoparlante del treno, peraltro in una lingua non mia. Dobbiamo fermarci per possibile presenza di persone vicino ai nostri binari. Arriva una delle addette del treno che apre con le chiavi la porta del vagone dove mi trovo, mentre un altro ragazzo si dirige verso questo grosso fagotto. Si avvicina, lo scuote, gli parla, quindi è certo, è un essere umano. La cosa inquietante è che non c'è nessun tipo di reazione o risposta, nessun movimento. Il ragazzo insiste, cerca di scuotere e muovere questo qualcuno, ma niente, non vi è segno di vita. Scende un altro giovane uomo e una donna, probabilmente una dottoressa o un'infermiera richiamata dall'altoparlante che chiedeva se vi fossero medici a bordo. Muovono il corpo, gli parlano e lo distendono supino. Traggo la certezza che la persona sia viva e quasi certamente si tratti di una donna, forse di una ragazza. Torno a chiamare mio suocero per aggiornarlo e confermargli che, nostro malgrado, c'è una situazione grave in atto e non so proprio quanto tempo ci vorrà per percorrere gli ultimi quattro o cinquecento metri che ci separano dalla stazione. In quel momento confesso che il disagio, quel senso di rabbia e oppressione dovuta dall'essere prigioniero, di non potermi muovere e uscire da quella situazione, ha preso per qualche istante il sopravvento sulla umana pietà verso chi in quel momento era in seria difficoltà e forse anche a rischio di morte. Questi sentimenti sono stati però sgombrati anche vedendo uno dei tre soccorritori, un altro giovane uomo sui trent'anni che si era seduto incrociando le gambe per formare una sorta di cuscino dove adagiare la testa della povera sventurata. Le carezzava i capelli e il viso per farle sentire una presenza amica, fraterna, e volerle trasmettere con quei gesti una rassicurazione a voler dire non preoccuparti, io sono qui con te, vedrai che tutto andrà per il meglio. Con una barella di quelle leggere in dotazione al treno e con qualche imbarazzo e improvvisazione da parte dei primi soccorritori, nel frattempo la ragazza era stata postata all'interno del vagone a pochi metri da dove mi trovavo io, che in tempo reale continuavo la radiocronaca a mio suocero. E se poco prima la sua affermazione ingenua «ma perché non mi fanno scendere per arrivare a piedi in stazione» mi fece sorridere in una giornata in un contesto comunque inquietante, la sua seconda considerazione aveva stavolta un senso logico sicuramente maggiore di quanto annunciato dall'altoparlante «siamo fermi per attendere l'arrivo dei igiri del fuoco e del personale paramedico». Ma se l'ambulanza e i mezzi di soccorso non possono arrivare fino a lì, se non a piedi, e visto che questa poveretta è ora sul treno, perché non far arrivare il treno in stazione, eppure di corsa? Hai ragione, che cosa vuoi che ti dica? Forse perché è troppo facile? Inoltre la giovane era ancora in una situazione di semi-incoscienza e prima si poteva trasportare all'ospedale e meglio sarebbe stato per lei. Mentre facevo questi pensieri con me stesso, iniziai inadvertitamente a guardare le altre persone in quel vagone. Vidi di fatto gran parte delle sensazioni che si possono provare in quegli attimi stampate sui volti dei viaggiatori. E così c'era chi era annoiato davanti allo schermo del suo cellulare, chi tentava di nascondere la sua insofferenza nel non poter arrivare in stazione, chi era preoccupato ma anche in un certo senso eccitato da questa situazione fuori dal normale. E poi c'era lui, quel ragazzo che continuava a rimanere seduto, a fare da cuscino a quella povera ragazza e soprattutto a non smettere di carezzare amoverevolmente il suo viso. Alla fine questo tragitto di poco meno di mezz'ora è durato un'ora e quaranta. Tutti noi siamo tornati alla nostra vita, magari dimenticandoci in fretta di quella giovane ragazza o magari sperando che quei brutti momenti saranno stati superati. Io ripenso a quanto quel ragazzo, con il suo piccolo gesto d'amore e senza dire una parola, mi abbia insegnato, arricchito e ricordato il significato della parola solidarietà. Sono Evaristo Tisci e questo è il mio podcast che si chiama perché... ma forse lo cambio.

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