Home Page
cover of Mario Luzi - La ferita nell'essere #3
Mario Luzi - La ferita nell'essere #3

Mario Luzi - La ferita nell'essere #3

00:00-09:21

Nothing to say, yet

0
Plays
0
Downloads
0
Shares

Transcription

Buonasera cari amici di RT 180, continueremo la lettura dell'antologia La Serita nell'essere di Mario Luzzi, itinerario antologico a cura di Valerio Nastoni. Siamo arrivati a Umbridisi, 1946. Umbridisi, il tuo viso talora può riflettere lo scarezzio previdente delle siepi di lago, delle luci che svarghiano in patios e lanterne, di sera in sera, un guizzo d'amaranto, e talora se i vetri si rimandano nelle brune città bianche ferite, lunghi sorsi di febbre dei colori di vite che attraversano il cielo fulminando, quando un raggio irreddito si rilincola tra il biancò delle rocche vulnerate, le stagioni sorvolano gli sguardi del diamante, i capelli assopiti nelle lume vegetale. Anche questo talora può riflettere il tuo viso, ma il cuore ovedierò che si è perduto dietro al sole frusciante fra i campi rosa e di caspini, dietro al blu delle musiche offese dai rimpianti, sulle labbra offuscate delle case della sera e del suo quarto di luna, al vino delle feste familiari, il curfumo ombra inceso alla campagna, i sinizi affettuosi in nagli riridate, braccia e sangue agghiacciate intorno alle ombre, fra le rose d'armida un guerriero sciorrito, sotto i salci colpiti di vento, una donna dagli occhi troppo brevi piangeva il suo passato indifferente. Così il tuo cuore languese bucato, il cuore umano gonfio ed assordito, la tristezza ramifica nel vuoto del sangue, nel silenzio del cielo inanimato, dolore informi, grida, preghiere inoggettive, dimenticata splende nella polvere degli angoli la madre inaridita. La sua voce cattolica prodiga di speranze, il nero del suo riguardo di rondine tramortita, il tepore continuo del suo latte già libido, trapito dal furore della notte, il suo corpo squassato in un riverbero luminoso riteratosi nel nombra. Le ramine dilatano ed il muschio trabocca dalle careppe, nelle vene della terra incubiscono i torrenti, i fiumi colorati dall'affa delle selve langono nello sguardo lapide degli armenti. Il profumo dei mastici tormenta le froge, lungo i transiti montani scorre il torrido trotto dei cavalli, un nitrito si impiglia tra le nuvole. Biondi cani velati di tristezza ed assillo fissano nella polvere in fronte sconosciute, armoniose animali si dilungano per le strade dall'occhio deserto e calcinato. Presidenze dai tendini libidi e riducenti balzano su rovine incenerite, brille il trono dei re cento di colore. Essere dissonante, ombra riottosa e contese indolenti di demoni dal cuore, chiari gesti impossibili, mania, gelo d'astruzio stancoli alla vita. La mano che non sa più carezzare, la bocca chiusa al verbo e da sorriso, un secolo la ciglia rilasso sul mio viso, la stanchezza di chiedere più oltre. I corpi taciturni splendidi sulla pietra levati nella luce e difesi da un gomito, luce e febbre è una rete di riflessi per cui immagini sul sotto si contraggono e smaniose vicende si dilatano. Nello sguardo deserto senza riva, ma tu persa trascorri, anima mia, al di là dei tuoi termini sfioriti. Brama la rosa neutra dei paesi dimenticati all'orlo delle strade deluse, di là dalle stagioni una rosa continua, rosa fissa nel lettere e indivisa, pencolante tra notte e giorno, veranno di talme primavere inattuate, di giardini possibili nel letto. Brama non più represso il nero insonne dei fagi fino al culmine del cielo e la rondine concave costante nella cui chiarità si deve il mondo. Silenzio della terra, bocche e bocche cucite dalle lacrime e la morte chiusa e configurata nel silenzio della fronte dell'uomo sotto il cielo compatto, sulla terra concreta nell'attesa della pioggia e del sole, represso ogni respiro, l'uomo il vuoto concentrico intorno alle sue spalle e con un volvolo eterno delle strade. Silenzio, solitudine dei gesti nadempiuti, sorrisi inabitati, povertà delle mani richiuse sopra il viso quando la volta inanime di un grido trattenuto sovrastra le città. Ma lasciamo che parlino di noi l'acqua, la calma eretta delle statue, delle statue dal volto stornato dal richiamo di una voce che sale dalla chiarura. Un orecchio perenne intenderà forse il lamento. Voi dal cavo delle orbite, occhi immotti nel cielo estereo affatto, fissità, fissità delle maschere contorte in una sgnoffia eterna, siete voi il silenzio ostinato della terra, voi di là dalle state dei giardini nel sole basso urbito dalle piante e sempre contro i celli vi vedremo esitanti a parlare della morte, noi l'uno all'altro simili e indistinti nel attendere numeri non vuoti. Forse in un giorno espremo un'improvvisa malinconia che renderà la voce, garatta se vuocherà qualche figura mobile, più mobile del mio spirito, che il mio spirito possa perseguire.

Other Creators