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The transcription discusses the practice of mindfulness and meditation. It emphasizes the importance of turning inward, paying attention to the body, and letting go of tensions and thoughts through deep breathing. The speaker also talks about the power of compassion and how it can help heal and bring about understanding. The transcription highlights the interconnectedness of all beings and the need for compassion in a world marked by ignorance, injustice, and personal struggles. It concludes by encouraging the listener to continue practicing mindfulness and to open their eyes to the world with compassion. Teniamo gli occhi chiusi, portiamo l'attenzione al nostro interno, ci assistiamo, sentiamo il nostro corpo, sentiamo tutti i nostri muscoli, il nostro essere, i punti di appoggio del corpo con la sedia, con il letto, con un cuscino, piedi che poggiano per terra, sentiamo se ci sono delle tensioni, e se ci sono delle tensioni proviamo a portare il respiro, ed espirando proviamo a lasciare andare, portare morbidezza nel corpo, quindi portiamo l'attenzione al respiro, sentiamo l'area che entra e l'area che esce, e ascoltiamo i movimenti del corpo che seguono il movimento dell'aria che entra e che esce, facciamo caso alle zone che si espandono, che poi si lasciano andare con l'espirazione, e noi seguiamo questo lasciare andare dell'espirazione lasciando andare tutti i pensieri, le preoccupazioni, siamo qui per regalarci questi momenti insieme di pratica. Quindi adesso suonerò di nuovo la campana, voi potrete rimanere con gli occhi chiusi oppure aprirli delicatamente per ascoltare il brano del cuore saggio. Superate ogni amarezza perché non sareste all'altezza dell'apacità del dolore che vi è stato affidato. Come la madre del mondo che porta nel cuore il dolore del mondo, voi state condividendo questo dolore con la totalità degli esseri, e siete chiamati ad accoglierlo con compassione e gioia invece che con autocommiserazione. Un maestro Sufi Alan Wallace, eminente maestro occidentale di buddismo tibetano, l'ha espresso così. Immaginate di camminare lungo in marcia a piede, avete appena fatto la spesa, avete le braccia a cariche, e qualcuno vi urta in malo modo. Cadete, e tutta la vostra roba si sparge per terra. Rialzandovi dalla pozzangra di uova rotte e pomodori schiacciati, state per gridargli — pezzo di idiota, ma sei cieco! Ma un attimo prima di prender fiato per parlare, vi rendete conto che l'uomo che vi è inciampato addosso è cieco per davvero. Anche lui è tutto cosparso di roba da mangiare e schiaccicata. La rabbia vi passa all'istante, sostituita da un interessamento solidale. — Se ho fatto male, posso aiutarla? Ecco, la nostra condizione è come questa. Quando ci rendiamo conto con chiarezza che al mondo la fonte della nostra disarmonia e infelicità è l'ignoranza, allora possiamo aprire la porta della saggezza e della compassione. Ogni persona che va in cerca di insegnamenti spirituali o di psicoterapia si porta dietro la sua dose di confusione e di dispiacere. Il buddismo insegna che soffriamo non perché abbiamo peccato, ma perché siamo ciechi. La compassione è la reazione naturale a questa ciecità, sorge quando vediamo con chiarezza la nostra condizione umana. I testi buddisti descrivono la compassione come il frenito del cuore di fronte al dolore, la capacità di vedere le nostre lotte con occhi gentili. Noi non abbiamo bisogno di rabbia, ma di compassione. Essa ci aiuta a essere dolci con le nostre difficoltà e a non lasciarle fuori impauriti. È così che avviene la guarigione. La compassione è la nostra natura più profonda, sorge dall'interconnessione tra noi e tutte le cose. All'inizio, quando mi accostai alla pratica buddista e presi i voti monastici, non ero consapevole della quantità di dolore che avevo dentro di me. Avevo fatto in modo di mettere a tacere i ricordi di infanzia pieni di violenza, i dubbi su me stesso, i sensi di inferiorità, la lotta per essere amato. La meditazione e la vita monastica li fecero tornare a galla a tutti, la mia storia personale che avevo conservato sotto chiave i giudizi, i dolori sepolti. All'inizio, il serato programma quotidiano di pratiche aumentava il mio senso di lotta ed inadeguatezza. Cercai di forzarmi a essere disciplinato e a essere bravo, ma finì per scoprire che il senso di inadeguatezza non migliora con la lotta. Imparai che per guarire davvero avevo bisogno di compassione. Una volta ero malato, probabilmente avevo la malaria, e giacevo nella mia capanna tutto contratto e bruciante di febbre. Un buono canziano mi aveva dato una medicina, ma era lenta a fare freddo. — A Gencevi viene a trovarmi. — Malato e con la febbre? — Sì, risposi. — Ti fa male dappertutto, vero? Annui. — Ti fa sentire dispiaciuto per te stesso, vero? Sorrisi un poco. — Ti fa desidere di andare a casa dalla mamma? Sorrisi, e poi annui. Eh già, è sofferenza. — Questa. Va bene. Quasi tutti i monaci della foresta l'hanno avuta. Almeno ora abbiamo buone medicine. Fece una pausa. — È qui, è qui che dobbiamo praticare. Non solo quando ce ne stiamo seduti in sala di meditazione. È dura. Tutto quel tormento del corpo, tutti quegli stati mentali, si impara parecchio. Aspettò un poco, poi mi guardò con il calore di un nonno gentile. Puoi sopportarlo, sai, puoi farcela. E io sentì che era lì totalmente insieme a me, che conosceva il mio dolore perché lui stesso aveva lottato duramente. Ci vuole un altro giorno prima che la medicina facesse effetto. Ma la semplice gentilezza di Agencià mi rese sopportabile la situazione. La sua compassione mi diede coraggio e mi aiutò a trovare la mia libertà proprio nel pieno delle difficoltà. Sotto la sofisticatezza della psicologia buddista c'è la semplicità della compassione. Possiamo imbatterci in quella compassione ogni volta che abbiamo la mente tranquilla, ogni volta che permettiamo al cuore di aprirsi. Purtroppo spesso i stati di ignoranza e di traumi possono mettere in ombra la nostra compassione. Su scala globale l'ignoranza si manifesta sotto forma di ingiustizia, razzismo, sfruttamento e violenza. Su scala personale vediamo i nostri stati individuali di invidia, ansia, dipendenza, aggressività. Quando ci fermiamo lì alla nostra cecità limitiamo le potenzialità di sviluppo del genere umano. Prendiamo per esempio Freud, la cui opera rivoluzionaria ha condotto a una conoscenza così alta della psiche. In Il disagio della civiltà Freud arriva a una conclusione profondamente pessimista sul cuore umano, affermando la civiltà deve impegnare i suoi massimi sforzi per porre dei limiti agli istinti aggressivi dell'uomo. Il comandamento idealista ama il tuo prossimo come te stesso, in realtà è giustificato dal fatto che non c'è nulla di più contrario alla natura umana originaria. Sì, dobbiamo riconoscere questo aspetto aggressivo della natura umana, ma nel suo saggio Freud si ferma qui, non cogliendo il dato di fatto, contrario al ben più potente, che la nostra vita individuale e l'intera nostra società sono costruite su innumerevoli atti di giovintilezzo. Adesso, se avevamo aperto gli occhi, proviamo a richiuderli per un attimo. Ascoltiamo nel nostro profondo l'eco di queste parole. Torniamo a ascoltare il respiro, il corpo, l'aria che entra e l'aria che esce. E ci prepariamo a terminare questa breve pratica. Tra poco suonerò la campana, ne ascolteremo tutto riverbero, prima di riaprire gli occhi e prendere contatto con la realtà esterna. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org