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Una storia di quando eravamo poveri - Una serata all'arena -

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www.redijoe.it e la storia continua Una storia di quando eravamo poveri Una serata all'arena Stasera ti porto in arena a vedere l'Africana disse padre al figlio, all'uno di quinta elementare ti porto a sentire Gigli nome che al fanciullo non diceva assolutamente nulla tranne che fai immaginare un campo coperto di fiori bianchi e Gignacinia si rammentava la moglie del cigno come se a dicevo alla sua età era musicalmente parlando un frivolo e cantava Ludovico, sei proprio un vero amico di stampo antico, non sai dire di no Ludovico, sei dolce come un fico più caro amico di te non ho mi daresti se lo voglio l'orologio il portafoglio e il vestito col cappello con l'ombrello e tua sorella verso il tramonto padre e figlio partirono ospiti dalla balina di un amico prezzo lire 10.500 8 litri per 100 km e per una strada superarono incipriando di polvere calestri su cui dondolavano sporte irrite di fiaschi e salami da conoscere negli intervalli della lunga notte arreniana sorpassarono biciclette proletarie che correvano all'opera a grande appuntamento estivo unica evasione della grama routine che per il resto dell'anno offriva l'italiano otarchico e casalingo come sollazio per il tempo libero la partita di voce con una colonna con la colonna sonora dell'organino trainato da un somarello di quella serata due cose colpirono il ragazzino le migliaia di fiammelle accesa al buio catino di pietra prima che l'orchestra attaccasse e la sbatataggine di un signore che dal gradino superiore lasciò cadere la candelina sulla sua mano Gigli, i cui acuti scavaccavano i 45 gradini nell'anfiteatro planando nella vicina piazza Bras richiamava folle da tutta Italia era il maradona del pentagramma quando cantava lui, la anagrafe veronese registrava qualche beniamino o qualche beniamina come oggi in Aston e Pippo e nel suo Ellen e appena terminò la romanza dal vago sapore colonialistico Oh, paradiso dall'onde è uscito Fiorente suol, splendido sol a voi rapito son tu mi appartieni, o nuovo mondo alla mia patria ti posso offrir non crollò l'anfiteatro ma il semplice motivo che l'arena è opera dei romani architetti seri che i loro edifici li costruivano per l'eternità negli intervalli il padre rievocò una splendida forza del destino vista qualche anno prima col basso Ezio Pinza il fanciullo pensava a una tenaglia e Carlo Tagliabue ma cos'è? lavorava in una macelleria? e sempre iludendosi che l'altro lo seguisse nel suo entusiasmo retrospettivo gli raccontò la famosa Aida del 1913 capostipite della fortunata serie areniana Io c'ero e scamò con orgoglio dei reduci da quadrato e di la franca per l'occasione si era comprato Ghette e Maggiostrina contestato dalla moglie moglie che la giudicava una spesa inutile e invece ne valeva la pena perché alla prima di Aida c'era un parterre des Rois il conte di Torino la principessa Letizia Savoia Giacomo Puccini, Enrico Boito, Pietro Mascani Franz Kafka Massimo Gorki Roberto Bracco e gli editori Ricordi e Sonzoni l'idea era venuta a un tenore veronese Giovanni Zenatello che tornato a Verona dopo una fortunata carriera in America vuole sperimentare per curiosità l'acustica della gigantesca conchiglia nella quale erano risuonate nei secoli spade di gladiatori urla di erettici a rogo scarpitardi cavalli in torneo lazzi di maschere sghignazzanti e muggiti di tori morenti cantò Celeste Aida acustica perfetta nella colossale coppa di marmo rivelate si fedele cassa armonica la voce del tenore si apriva verso l'alto come un fiore sonoro Zenatello provò un accordo di violino identico risultato l'estremità opposta al suono fu dito limpidamente un filo musicale sottile come un capello quell'anno cadeva il centenario della nascita di Giuseppe Verdi e Zenatello decise di celebrarlo con la più verdiana delle opere l'Aida nel più faraonico dei teatri l'Arena in un mese e mezzo fu arrestito uno spettacolo da fare invidia a Cecil De Mille direttore dell'orchestra Tullio Serafin bozzetti di ettore e fagioli a ragazzino veniva in mente il minestrone l'illuminazione fu fornita dalle fote elettriche del regio esercito le sedie prestate dalle chiese sebbene le ultime repliche si pagassero soltanto 50 centesimi la domenica il corriere ne costava 10 fuori ne casate decine di migliaia di lire lire buone che facevano agio sull'oro e non erano insediate dall'inflazione essendosi il bilancio statale dell'anno precedente chiuso con un attivo par di sognare di 65 milioni

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