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05 - Pane_ Significati [N.13 al N.16] (192kbit_AAC)

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We have been examining the significance of the Eucharistic bread, its importance in ancient times, and the new meanings it took on with the arrival of Christianity. The bread is a sign of God himself, a sign of every divine gift, and it recalls the Paschal mystery, the union with Christ and with each other. The bread is a reminder of our pilgrim status, of aspects of love, purity, and the incarnation. It is fruit of the earth and the work of man, given to all. The transformation of the bread into the body and blood of Christ is not the result of human intervention, but of the Holy Spirit through the epiclesis prayer. The bread of heaven has complementary meanings: it signifies the origin, a gift from above, not the work of man. It is the nourishment of the spiritual life, the soul. Jesus, as the bread of heaven, testifies to being the word of God in person, through whom man can make God's will his Allora, vediamo di fare questa sintesi del percorso fatto finora, il venerdì, con le nostre riflessioni. Allora, stiamo esaminando il pane eucaristico, l'importanza del pane nell'antichità, alcuni nuovi significati con l'avvento del cristianesimo che assume il pane. Il pane è segno di Dio stesso, segno di ogni dono divino, richiama il mistero pasquale, richiama l'unione con Cristo e tra di noi, richiama lo status del pellegrino, richiama alcuni aspetti dell'amore, l'ossia bianca che richiama la purezza, il pane eucaristico richiama l'incarnazione, è frutto della terra e del lavoro dell'uomo, pane dato a tutti, la prefigurazione, il pane e la manna, il buon profumo, eravamo arrivati qui dunque la volta scorsa. E allora adesso proseguiamo nella nostra catechesi. Il pane del cielo. Ha diversi significati complementari questa espressione pane del cielo. Esso richiama la provenienza, dono del cielo, dono dall'alto, dono di Dio, non opera dell'uomo. Non è frutto semplicemente nostro o principalmente nostro, è anzitutto dono che viene dall'alto. Opera dello Spirito Santo, l'epiclesi cosiddetta e cioè che cos'è? Dopo, durante la Santa Messa, al momento dopo che è stato recitato il Santo, Santo, Santo, inizia la preghiera eucaristica e la preghiera eucaristica proprio all'inizio fa l'invocazione dello Spirito Santo. Ti preghiamo perché scenda su questo pane, su questo vino lo Spirito Santo, perché lo trasformi nel corpo e nel sangue di Cristo. Questa ecco invocazione dello Spirito Santo è chiamata appunto epiclesi e quindi la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo non è frutto della buona volontà, della buona fede o della santità del celebrante o della fede dei presenti. No, è frutto e dono dello Spirito Santo. Questo non dovremmo mai dimenticarlo, tant'è vero che se un celebrante fosse in peccato mortale, un vescovo, un prete, celebrasse l'eucaristia in peccato mortale, beh lui si macchierebbe di un sacrilegio, di un peccato ancora più grave, però quel pane e quel vino diventano il corpo e il sangue di Cristo. Perché? Perché non è per l'intervento semplicemente umano, ma è opera appunto dello Spirito Santo mediante appunto questa preghiera che è chiamata l'epiclesi. Non siamo noi i formitori del pane che ci sazia la fame del cuore, né i produttori del vino che ci estingue la sete bruciante di infinito. Noi diamo un pane materiale ma questo non è in grado di saziare la fame profonda, intensa, infinita del cuore umano. Così pure noi produciamo del vino materiale, ma che non può estinguere la sete bruciante di infinito che si sprigiona dal cuore di ogni persona. Secondo aspetto, la vita spirituale. Indica il cielo la vita spirituale, soprannaturale, cristiana, l'anima di cui il pane e il vino eucaristico diventano l'alimento. Quindi quando diciamo pane del cielo intendiamo appunto questa vita spirituale che il pane alimenta. Afferma Benedetto XVI circa la legge ebraica. Nel pensiero ebraico era chiaro che il vero pane del cielo che nutriva Israele era la legge, la parola di Dio. Il popolo di Israele riconosceva con chiarezza, afferma ancora Papa Benedetto, che la Torah era il dono fondamentale e duraturo di Mosè, la legge, i dieci comandamenti, la Torah, e che l'elemento basilare che lo distingueva rispetto agli altri popoli consisteva nel conoscere la volontà di Dio attraverso la Torah, attraverso la legge, e dunque la giusta via della vita. Ora Gesù, sempre Papa Benedetto che ci dice, nel manifestarsi come il pane del cielo, testimonia di essere lui, la parola di Dio in persona, la parola incarnata, attraverso cui l'uomo può fare della volontà di Dio il suo cibo che orienta e sostiene l'esistenza. Ecco dunque che Gesù fa questo passaggio radicale dalla Torah, dalla legge, a lui stesso che è la parola di Dio e che è il pane che alimenta la nostra vita spirituale e che viene lui stesso dal cielo, da Dio stesso, e sostiene la nostra esistenza umana, materiale. Terzo aspetto del pane del cielo ce lo commenta, ce lo propone Sant'Agostino nel suo commento al Vangelo di Giovanni che ci dice così, ci spiega così. Questo pane richiede la fame dell'uomo interiore. Il Signore affermò di essere il pane che discende dal cielo esortandoci a credere in Lui. Mangiare il pane vivo infatti significa credere in Lui, si aggiunge ancora Sant'Agostino, e chi crede mangia. Il modo invisibile è saziato in questa fame, in questa sete di infinito interiore spirituale, come il modo altrettanto invisibile rinasce a una vita più profonda, più vera, rinasce di dentro, nel suo intimo diventa un uomo nuovo. Quindi vedete che potere, che potenza ha questo pane del cielo di farci essere nuove persone, nuove creature, di rinascere a una vita più intensa, più alta, più profonda, più spirituale, più integrale, più completa, più perfetta. Altro aspetto. Perché nell'Eucaristia il Signore ci chiede di utilizzare il pane azzimo, e cioè senza essere lievitato, senza lievito. Il pane azzimo è stato per molto tempo l'unico conosciuto dall'umanità. Si preparava con farina integrale, si cuoceva mettendo l'impasto su pietre arroventate, molti lo fanno anche adesso, anche oggi, o in cenere calda. È un tipo di pane preparato con farina di cereali e acqua, come in tutti gli altri pani, senza tuttavia aver subito il processo di fermentazione mediante il lievito. E allora? Gli ebrei mangiano pane azzimo durante la settimana pasquale, dal 15 al 21 di Nisa, celebrata in ricordo dell'uscita del popolo israelita dall'Egitto, dalla schiavitù dell'Egitto, la liberazione dunque dall'Egitto, secondo la prescrizione contenuta nel capitolo dodicesimo dell'Esodo. La preparazione del pane azzimo strittava ai leviti a questa particolare tribù, appunto, Israelì Israele. Molti continuano anche oggi a preparare il pane azzimo, sia per motivi di praticità, essendo il pane azzimo più facile da preparare, che per motivi dietetici e religiosi anche. Gli ebrei mangiano ogni anno a Pasqua, e simboleggia la fretta di partire velocemente dall'Egitto, e quindi non hanno avuto il tempo di aspettare che il pane lievitasse. A seguito dell'annuncio dell'angelo che aveva detto loro, guardate che dovete subito partire, perché durante la notte poi interverrà l'angelo a sacrificare le persone dei primogeniti degli egiziani, luogo di schiavitù verso la terra promessa. E quindi, non avendo avuto il tempo sufficiente, ecco che hanno mangiato il pane senza essere lievitato, e questo è diventato il simbolo un po', appunto, di questa liberazione, di questa fretta, e di questo passaggio veloce alla terra promessa. L'AZZIMO PASTA PANE NON LIEVITATO Ricorda che gli israeliti, dunque, avendo dovuto lasciare l'Egitto in tutta fretta, non avevano avuto abbastanza tempo per far lievitare la pasta, quindi avevano dovuto mangiare pane non lievitato. Inoltre, questo è il primo aspetto, il secondo aspetto, il lievito rappresentava ciò che non è in armonia con Dio nella Bibbia, e cioè il peccato. Quindi ha assunto anche questo significato negativo del peccato. Inoltre, l'uso del pane azzimo richiama anche il fatto che Gesù istituì il sacramento dell'Eucaristia nella settimana pasquale, durante la quale, secondo le prescrizioni, la prescrizione delle leggi ebraiche, ci si serviva soltanto di pane azzimo. Quindi, in questa maniera, noi, anche oggi, celebrando l'Eucaristia con pane azzimo, richiamiamo il memoriale della Pasqua, non soltanto quella ebraica, ma soprattutto quella di Gesù Cristo, il passaggio dalla morte alla vita per Lui. Il pane azzimo, cioè con il pane nuovo, non fermentato dal vecchio lievito, indica l'attesa, questo è un altro elemento, un'altra spiegazione del pane azzimo, indica l'attesa che Dio porta a compimento le sue promesse. Dio è fedele e mantiene la parola data e adempie le sue promesse. Inoltre, richiama anche l'antica pesta ebraica delle primizie, quando si faceva il nuovo lievito con il nuovo raccolto, e si eliminava il vecchio lievito fatto con la farina dell'anno precedente. Quindi, lievito nuovo, pane nuovo, richiama dunque anche l'antica pesta ebraica delle primizie. Inoltre, costituisce anche un richiamo all'umiltà davanti a Dio, perché il lievito fa gonfiare la pasta, come l'orgoglio fa gonfiare il cuore dell'uomo. Vedete un po' quanti aspetti, quanti significati si possono appunto addurre per questo uso che era allora consuetudine, siamo nel contesto della Pasqua ebraica, quando Gesù ha istituito l'eucaristia, e dunque lui ha utilizzato il pane azzimo fedele alla tradizione della Pasqua ebraica. Però, vedete, riflettendoci sopra, lungo questi secoli, i cristiani, noi cristiani, possiamo anche individuare, riconoscere i vari significati, sia storici, ma sia anche e soprattutto spirituali, che vengono richiamati da questo fatto dell'assenza del lievito nel pane eucaristico, nel pane che viene utilizzato per l'eucaristia. Inoltre, altro elemento, altro significato, altra finalità, offre un'esortazione alla vigilanza. Siate pronti, ci dice Gesù, con le cinture ai fianchi, le lucerne accese, siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, e allora non c'è tempo appunto di fare lievitare la pasta, e pertanto siate pronti. Questo essere siate pronti si riferisce naturalmente al Signore che viene, che ti parla in ogni situazione, in ogni avvenimento, in ogni persona, ogni giorno, ma certo il siate pronti si riferisce anche al momento nel quale il Signore ci chiama a sé, momento della morte. Paneazzimo, ci dice anche San Paolo, con la prima lettera ai Corinzi, il capitolo quinto. Paneazzimo indica anche noi stessi cristiani. Togliete via il lievito vecchio, ci dice appunto San Paolo, per essere pasta nuova. Per poiché siete azzimi, vedete che qui l'azzimo è applicato all'essere cristiano, e infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato. Celebriamo dunque la festa, non con lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità. Quindi qui San Paolo dà questa interpretazione del lievito, è un lievito vecchio, di malizia, di perversità, ecco la visione del lievito come peccato. E l'azzimo dunque il pane senza lievito come segno di sincerità, di verità, di purezza, di non aggiunta di cose dall'esterno, ma di appunto di rispetto della sua identità. Qui è San Paolo dunque che ci dà questa interpretazione, questa lettura, sia del lievito, sia appunto dell'azzimo, e lo applica appunto a noi cristiani, a noi persone umane. Altro aspetto del pane di vita che è Cristo, Cristo chicco di grano. Il pane è fatto di tanti chicchi di grano, e allora qui vediamo in che modo possiamo esprimere questa simbologia, questo riferimento del chicco di grano a Cristo. Afferma sempre Benedetto XVI, Cristo, chicco di grano, gettato nei solchi della storia, è la primizia dell'umanità nuova, liberata dalla corruzione del peccato e della morte. Cristo è la primizia della nuova umanità. E riscopriamo così la bellezza del sacramento dell'Eucaristia che esprime, ci dice sempre Papa Benedetto, tutta l'umiltà e la santità di Dio, un Dio che si fa pane, un Dio che si fa uomo nel grembo della Vergine Maria, segno di grande umiltà, ma che poi prima di salire al cielo vuole continuare la sua presenza visibile in qualche maniera in mezzo a noi, e ti inventa questo modo che appunta attraverso il pane, dove a un certo punto abbiamo rispetto all'incarnazione che Gesù ha fatto nel grembo della Vergine Maria, del Dio che si è fatto uomo nel grembo concepito per opera dello Spirito Santo, noi nell'Eucaristia abbiamo due elementi nuovi che direi che sono anche vantaggiosi per noi. Se con l'incarnazione lui era limitato attraverso il corpo dal tempo e dallo spazio, viveva in Palestina, è vissuto duemila anni fa, ora mediante l'Eucaristia lui può essere presente ovunque, si rende presente, visibile, efficace ovunque, e poi appunto non è più legato al tempo e allo spazio, e dunque la sua presenza addirittura entra dentro di noi, si fa mangiare da noi quello che non era possibile mentre lui era qui fra di noi nell'incarnazione. Quindi vedete che da questo punto di vista l'Eucaristia ha portato qualcosa di bello, di grande, di nuovo anche per noi, ha consentito in ogni parte del mondo dove c'è un bescovo o almeno un prete con alcuni fedeli di poter attuare il sacramento dell'Eucaristia e poi anche addirittura quello che non era possibile duemila anni fa, lui entra anche dentro di noi facendosi pane e viene mangiato da noi a tal punto che San Paolo ci dice non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me, e pertanto è veramente un elemento direi più importante in un certo senso da questo punto di vista e anche migliore da questo punto di vista rispetto alla stessa incarnazione. Poi non dimentichiamo che sia nel caso dell'incarnazione sia nel caso dell'Eucaristia la fede da parte nostra è in ogni caso necessaria perché anche quando Gesù era presente in Palestina, predicava, compiva miracoli, c'erano quelli che credevano e c'erano quelli che non credevano a lui, tanto più che quando si è trattato di seguirlo nella sua passione, nella sua morte, sono state pochissime persone che l'hanno accompagnato a quella estrema missione che il padre gli aveva affidato. Pertanto ecco, riconoscere in quell'uomo il verbo di Dio, il figlio di Dio, in quel contesto duemila anni fa si richiedeva anche lì la fede, come anche oggi naturalmente si ci chiede nell'Eucaristia la fede. Pertanto da questo punto di vista non vedo grande differenza. Ecco, esprime tutta l'umiltà di Dio, è un Dio che addirittura si fa talmente piccolo uno di noi da essere mangiato da noi, e poi anche si offre anche al rischio di essere oltraggiato nell'Eucaristia da parte di noi che lo riceviamo, e lo oltraggiamo quando ad esempio lo riceviamo nella Santa Comunione, lo accogliamo dentro di noi nella Santa Comunione senza avere le dovute, le dovute appunto condizioni spirituali, interiori di purezza, di santità. Oltre poi a rischio di essere oltraggiato attraverso lo scempio, lo scandalo che qualche volta succede, lo scempio che si fa delle ostie consacrate per finalità e per situazioni che nulla ha a che fare ma che sono il contrario proprio della finalità per cui Gesù ha istituito questa Eucaristia. Pertanto vedete la grande umiltà di Dio che si espone anche a questi rischi e accetta di venire insultato, oltraggiato anche proprio dal fatto che molte volte anche noi non lo accogliamo con quelle dovute disposizioni interiori che richiederebbe la Santa Eucaristia, la Santa Comunione. Nello stesso tempo esprime anche tutta la santità di Dio, il suo farsi piccolo, Dio si fa piccolo, frammento dell'universo per riconciliare tutti nel suo amore. Vedete come il chicco di grano, unito a tanti altri chicchi di grano, richiama questa profonda, intensa, sublime unità di tutti noi cristiani che cibandoci appunto di quel pane siamo chiamati ad essere uno con Cristo Signore e come i chicchi sono fusi insieme per fare la farina, ecco che anche noi siamo chiamati ad essere un corpo solo e un'anima sola proprio perché uniti a Lui e l'unione con Lui che ci fa essere un corpo solo e un'anima sola è l'unione con Cristo, perché la nostra unione orizzontale è realizzata dall'unione con il verticale che è appunto dato dalla presenza e dall'azione di Lui, di Gesù Cristo, mediante lo Spirito Santo d'amore. Altro aspetto, e siamo al sedicesimo aspetto, noi parliamo di due pani nell'Eucaristia, di due mense, e però fra i due pani e le due mense c'è una profonda unità. Cosa vogliamo dire? Gesù stesso sottolinea questa unione, intima unione delle due mense. Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato. E citando il Deuteronomio ha anche detto, non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Qui parola di Dio, mensa, l'Eucaristia, la messa, è mensa della parola di Dio, è banchetto della parola di Dio, dove Dio anzitutto si offre a noi come alimento per la nostra vita spirituale, per la nostra vita cristiana, per la nostra vita quotidiana. Parola di Dio, questa parola che parla, che ci esprime, che ci indica la volontà di Dio, che cosa Dio s'aspetta da noi, come Dio ci vuole, qual è il progetto che Dio ha su di noi, qual è il modo per realizzare pienamente la nostra vita, nella pienezza del suo valore, del suo significato. Ecco, è la parola che esce dalla bocca di Dio. Anche qui mi piace evidenziare questo aspetto della mensa, del mangiare, una parola che è quella che noi ascoltiamo e a cui partecipiamo ogni qual volta partecipiamo alla messa, perché tutta la prima parte della messa, la messa domenicale ad esempio, ha ben tre letture tratte dalla Bibbia. E' parola di Dio, parola di Dio, cibo per, alimento per la nostra vita spirituale, che esce dalla bocca di Dio. Ecco, ancora una volta questa parola richiama il mangiare, dalla bocca di Dio, è Dio stesso che ci invocca, che ci offre la parola del suo Figlio. Quindi vedete quanto sia intensamente profonda e importante questa mensa della parola, che costituisce un po' tutta la liturgia della parola nella prima parte dell'Eucarestia, della messa che noi celebriamo. E fra la mensa della parola e la mensa in cui Gesù Cristo si offre a noi come cibo, come alimento, esiste un'intensa e profonda unità, perché l'unità è data anzitutto da Cristo stesso, è sempre Lui che prima mi alimenta con la Sua parola e poi mi alimenta con il Suo corpo e il Suo sangue, ma è sempre Lui. E secondo, sono sempre io pure, che prima vengo alimentato con la parola di Dio e poi vengo alimentato con il Suo corpo e il Suo sangue. Ora, questa unità che dovremmo anche noi sempre riconoscere, mantenere e rispettare. E in quale maniera la possiamo riconoscere e rispettare, se non ad esempio arrivando anzitutto puntuali alla Messa? Purtroppo anche da noi c'è la cattiva abitudine di fedeli che, non dico una volta perché c'è stato un imprevisto, ma hanno alcuni proprio l'abitudine di arrivare quando già la Messa è iniziata, quando già magari la prima lettura, anche la seconda, qualche volta anche il Vangelo è già stato proclamato. E quindi si perde un po' tutta questa prima parte della Messa che costituisce, è parte costitutiva della Messa, che è appunto la Mensa, l'offerta che Dio ti fa del Suo Figlio attraverso la parola del Suo Figlio. È il Suo Figlio che ci parla attraverso il Proclamatore, ma il Lettore, lui presta la sua voce a Dio, al Figlio di Dio, ma è Cristo che ti parla. E qui anche permettetemi di soffermarmi su un aspetto che ritengo anche importante. Questa parola, durante la Messa, viene proclamata e allora dal Lettore, che dal Lambone, proclama questa parola, è la parola di Cristo. Ora, quando uno proclama, il termine proclamare indica proprio che parla in nome di un altro, pro significa in nome di, invece di, prestando la voce a, quindi lui, il Lettore, il Proclamatore, il laico o il prete anche, che proclama la parola di Dio, lo fa prestando la sua voce a Dio stesso. E allora è Dio che parla attraverso la voce umana di quel Lettore, di quell'uomo, di quella donna. E allora, quando uno parla, anche un buon minimo di galateo richiede che uno pressi attenzione, lo guardi, lo guardi anche in volto a colui che sta parlando, che sta proclamando. Quello che non capisco è come mai, appunto, molti dei partecipanti che sono, ascoltano, che sono lì presenti alla celebrazione, loro seguono le letture su un foglietto, i famosi questi foglietti che vengono utilizzati durante la Messa. Ora, capisco l'utilità di questo foglietto, soprattutto per recitare le parti comuni che riguardano un po' tutti quanti noi, il prete e l'assemblea. Penso ad esempio al Gloria, al Credo, che forse non tutti sappiamo a memoria, e quindi è opportuno che lo seguiamo sul foglietto, questo mi sta bene. Però le letture non vanno lette dal foglietto, tantomeno il proclamatore, che non deve proclamarlo da un foglietto, ma anche colui che ascolta non deve leggere le letture dal foglietto, altrimenti c'è da chiedere, perché allora c'è un lettore che proclama la parola di Dio. Se io intanto me la leggo, questa parola di Dio, per conto mio, oltretutto se io me la leggo per conto mio un brano, una pagina, io leggendola con gli occhi, senza muovere le labbra o senza dire ad alta voce e quindi senza rispettare la punteggiatura, le punte virgole, le virgole e i punti che ci sono, io vado più veloce leggendo con gli occhi rispetto a colui che proclama, soprattutto se proclama bene questa parola di Dio. E pertanto non riesco a capire come a un certo punto uno che legga sul foglietto lo stesso brano, lui trovandosi davanti in ance, correndo maggiormente nel leggere quel brano, non venga disturbato. Mi chiedo se non viene disturbato, ma certamente viene disturbato da colui che legge, perché colui che legge, legge delle frasi che io ho già letto già da qualche istante e quindi allora bisognerebbe forse dire a colui che proclama, no, guarda, non andare a proclamare. Ognuno di noi si legge le letture per conto suo, se le legge, e così non ci disturbiamo, il lettore non mi disturba. Potrei forse chiedere una cosa di questo tipo in una celebrazione? No, assolutamente. Perché? Perché io devo, c'è un Dio che parla in nome di, affidandosi a, c'è un lettore che parla in nome di Dio, che affida la sua voce e presta la sua voce a Dio, ma è Dio che mi parla nella Sacra Scrittura, è Lui che mi offre la mensa della parola del suo Figlio, e quindi io devo essere in un atteggiamento di ascolto, di accoglienza, e non di lettura mia personale, dove a un certo punto io quello che apprendo e ascolto, lo ascolto direttamente da Dio attraverso il lettore, e non me lo dono da solo con i miei occhi, leggendolo per conto mio. Certo voi mi direte, ma qualche volta io sono sordo, e allora ho bisogno di leggere. Ok? Casi eccezionali. Altre volte mi dite, eh ma colui che proclama non proclama come dovrebbe fare, e cioè senza non si capisce quello che dice. Ok, avete ragione, i lettori non bisogna improvvisarli, bisogna prepararsi. Se per andare a leggere quattro notizie in televisione ti fanno selezioni molto severe, se ti fanno corsi di dizione molto molto appropriati, io non capisco perché proclamare la parola di Dio debba essere affidato a degli improvvisatori. No, assolutamente, questo no. Ma nello stesso tempo, però, dobbiamo anche comprendere che la parola di Dio è parola proclamata, che da me viene accolta, viene ascoltata. C'è Lui che mi parla attraverso il lettore, attraverso il laico o il prete, e che io l'ascolto, io l'accolgo, non che me la leggo, me la dono per conto mio. Qui anche è un dono che mi viene dall'alto e dall'altro, che è Dio. Non è una parola che me la dono per conto mio, leggendola per conto mio, me la dono da me stesso. Invece se io l'ascolto da un altro, io evidenzio che è l'altro che mi parla e che è Dio che dunque attraverso l'uomo, la donna, mi parla, ma mi viene donata da un altro. Non me la dono da me stesso questa parola, è il dono di Cristo, dono di Dio, che viene dal cielo. Ecco, scusate un po' questo richiamo a questa faccenda dei foglietti, che poi diventano anche, soprattutto in mano ai ragazzi, momento anche di distrazione, momento anche di disturbo e via del genere, ma anche in mano agli adulti. A un certo punto, qualche volta, leggendo, proclamando la parola di Dio, si sente un fruscio generale, ed è il momento in cui quella pagina del foglietto viene girata, viene appunto spostata. È tutta una situazione che dovremmo cercare di riportare alla sua finalità primaria. Primo, è Dio che mi parla, e allora quando uno mi parla, io assumo l'atteggiamento di ascolto, non mi metto a leggere, sarebbe un segno da parte mia di maleducazione, se mentre una persona parla, io mi metto a leggere cose mie. È vero che stai leggendo la parola di Dio, però questa parola di Dio ti viene proclamata, donata, e non te la prendi da solo tu con i tuoi occhi, leggendola per conto tuo. È un dono che viene dall'alto, che viene dal cielo, è Cristo Signore che ti parla. Tu allora assumi l'atteggiamento di ascolto di fronte a questo Dio che ti parla. Il secondo aspetto, ecco, è il senso proprio di accoglienza di un dono che richiama da parte tua tutta la tua disponibilità. Tu impegnati non tanto con gli occhi e con la mente, ma impegnati col cuore ad accogliere questa parola, seguendo appunto quello che ti viene offerto tramite il lettore, il proclamatore di questa parola. Mi raccomando, soprattutto prepariamo bene anche i lettori, i proclamatori di questa parola. Non improvvisiamo, anche qui nella nostra Diogesi il Vettrobo organizza corsi di approfondimento per i lettori, per i già, quelli che sono già lettori, e anche quelli che diventeranno lettori. Ma non si tratta solo di corsi in cui si cerca di approfondire le regole della dizione, pure importanti, ma di capire anche il ruolo e la missione che ti si affida quando ti si affida il compito di proclamare la parola di Dio. Pensa un po', tu presti la tua voce, presti la tua persona niente meno che a Dio. Tu parli in nome di un altro, in nome di Dio, ma che vuoi di più? Ecco pertanto quanto è importante questo pane della parola di Dio, che ci viene offerto e che è Gesù Cristo. E anche nel Concilio Vaticano II ci è stato anche detto che il rispetto che noi dobbiamo avere per il pane eucaristico, presente nel tabernacolo poi terminata la celebrazione, lo dobbiamo avere anche per il pane della parola di Dio. Lo stesso rispetto, la stessa dignità. Scusate. E quindi cerchiamo proprio ecco di far tesoro anche di questi piccole note, piccoli rilievi, e comunque potete intervenire anche voi, vedo che il tempo a mia disposizione è ultimato.

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