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Ode Marzo 1821 di Alessandro Manzoni

Ode Marzo 1821 di Alessandro Manzoni

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L'ode Il cinque maggio (1821) è un capolavoro di Alessandro Manzoni (1785 - 1873).

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The speaker dedicates the poem "Ode marzo 1821" to the Patriots of Italy. The poem expresses the determination of the Italians to unite and fight for their freedom against foreign oppression. The speaker calls on the Italians to reclaim their land and resist the barbarism of the invaders. They believe that God is on their side and will support their struggle for liberty. The poet urges Italy to rise up and fight, reminding them of their past struggles and the need to protect their future. The poem ends with a plea for Italy to remain united and not let their victory be forgotten. Buongiorno a tutti i radioascoltatori, dedico l'Ode marzo 1821 a tutti i Patrioti d'Italia. Alessandro Manzoni, marzo 1821 Soffermati sull'arida sponda, volti i guardi al valcato Ticino, tutti assorti nel nuovo destino, certi in cor dell'antica virtù han giurato. Non fia che quest'onda scorra più tra due rive straniere, non fia loco dove sorgano barriere tra l'Italia e l'Italia, mai più! L'han giurato, altri forti a quel giuro rispondean da fraterno e contrade, affilando nell'ombra le spade che orlevate scintillano al sol. Già le destre hanno strette le destre, già le sacre parole son porte, o compagni sul letto di morte, o fratelli su libero suol. Chi potrà della gemina d'ora, della morbida altana rosposa, del Ticino e dell'orba selvosa, scener l'onde confuse nel po', chi stornagli del rapido Mella, e dell'oglio le miste correnti, chi ritoglie gli mille torrenti che la voce dell'Adda versò, quello ancora, una gente risorta, potrà scindere in volghi spregiati, e a ritroso degli anni dei fati, di sospingerla ai prischi dolor, una gente che libera tutta, o chi asserva tra l'albe ed il mare, una d'arme di lingua d'altare, di memorie, di sangue e di cor. O stranieri, nel proprio retaggio torna Italia, e il suo suolo riprende! O stranieri, strappate le tende da una terra che madre non vè! Non vedete che tutta si scote, dal Cenisio alla balza di Scilla? Non sentite che in fila vacilla, sotto il peso dei barbari piè? O stranieri, sui vostri standardi sta lo proprio di un giuro tradito, un giudizio da voi profferito! Va' compagna l'iniqua tenzón! Voi che a stormo gridaste in quei giorni, Dio rigetta la forza straniera! Ogni gente sia libera, e pera della spada l'iniqua ragion! Se la terra, ove oppressi gemeste, prene i corpi dei vostri oppressori, se la faccia de' strani signori tanto amare vi parve in quei dì, chi va detto che steri l'eterno, saria il lutto dell'ita le genti? Chi va detto che i nostri lamenti, saria sordo quel Dio che vudi? Sì, quel Dio che nell'onda vermiglia chiuse il rio che inseguiva Israele, quel che impugna la mastia Giaele e pose il maglio ed il colpo guidò, quel che è padre di tutte le genti, che non disse al Germano giavvai, va, raccogli, ove arato non hai, spiega l'ugne, l'Italia ti dò! Cara Italia, dovunque il dolente grido uscì del tuo lungo selvaggio, dove ancor dell'umano legnaggio ogni speme deserta non è, dove già la libertà tè fiorita, dove ancor nel segreto matura, dove a lacrime un'alta sventura, non c'è cor che non batta per te! Quante volte sull'alpe spiasti l'apparir d'un amico stendardo, quante volte intendesti lo sguardo nei deserti del duplice mar! Ecco alfini dal tuo seno sboccati, stretti intorno ai tuoi santi colori, forti e armati dei propri dolori, i tuoi figli son sorti a pugnar! Oggi ho forti sui volti baleni il furor delle menti segrete, che in l'Italia si pugnano, vincete, il soffato sui grandi vi sta, o risorta per voi la vedremo, al convito de' popoli assisa, o più serva, più vil, più de' risa, sotto l'orrida vergastola! O giornate del nostro descatto! O dolente per sempre colui che da lunge dall'ablo d'altrui, come un uomo straniero le utrà, che ai suoi figli, narrandole un giorno, dovrà dire, sospirando, io non c'era, che la santa vittrice bandiera salutata quel dì non avrà! Grazie a tutti per la cortesa attenzione. Buongiorno

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