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Andreuccio da Perugia-Classe 3AM

Andreuccio da Perugia-Classe 3AM

Laura

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Andreuccio, a naive horse trader from Perugia, travels to Naples to buy horses. He stays in a hotel and meets a Sicilian girl who recognizes him as her long-lost brother. They go to her house where she steals his money. Andreuccio escapes through a trapdoor and meets two thieves who invite him to join them in a robbery. They try to wash him in a well but he ends up scaring away some guards. Confused, he meets the thieves again and learns about their plan to steal a valuable ring from a tomb. Andreuccio da Perugia. Narrata da Fiammetta, la novella di Andreuccio ci riporta a una Napoli tutta popolare, quella dei bassi fondi, in cui un giovane sprovveduto mercante di cavalli rischia persino la vita prima di riuscire a cavarsi di impaccio. Il testo che proponiamo è in italiano moderno, nella riscrittura di Pierre Chiard. Un giovane di Perugia di nome Andreuccio, sensale di cavalli, avendo sentito dire che a Napoli si potevano comprare animali di buona razza, decide di andarne ad acquistare qualcuno da rivendere nella sua città. In quel tempo erano i primi anni del 1300, regnando in Napoli Carlo II d'Angiot, detto lo Zoppo. La città era non solo una capitale, ma anche un grande emporio al quale conveniva gente da ogni parte. Difiorivano i traffici ed anche certe leghe di malviventi che davano luogo a ruberie, omicidi, risse e tumulti. Mai del tutto sedati e sempre pronti a riesplodere come le eruzioni del Vesuvio. Andreuccio, che non si era mai mosso da Perugia, benché poco pratico del mondo, si mise in viaggio e giunto a Napoli prese alloggio in un buon albergo, credendosi arrivato nel più tranquillo luogo del mondo. La mattina dopo andò al mercato, dove trattò diversi cavalli, ma senza acquistare nessuno. Per non far pensare il venditore che gli mancasse il denaro, mostrava spesso qua e là, anche quando non ve n'era bisogno, la sua borsa piena di fiorini d'oro. Una bellissima giovane siciliana, che si aggirava per il mercato, ebbe modo di dare un'occhiata a quella borsa e di vedere quanto era ben fornita. Incuriosita si fermò a guardare i maneggi del giovane, che si avvidi di lei, ma venne subito distratta da una vecchia, anch'essa in giro per mercato, che lo avvicinò con l'aria da riconoscere, in lui una persona nota. La vecchia, infatti, dopo averlo fissato negli occhi, lo afferrò per le braccia dicendogli Ma tu sei Andrea Uccio? Non si era sbagliata, perché Andrea Uccio a sua volta la riconobbe e la abbracciò. Era stata molti anni avanti, una sua nutrice. Quando la vecchia se ne andò, la giovane siciliana la raggiunse e le domandò chi mai avesse ritrovato quella mattina. Ho fatto da baglia a quel giovanotto, spiegò la vecchia, quando bambino viveva a Palermo con suo padre e sua madre. L'ho ritrovato poi, cresciuta a Perugia, dove andai a servizio alcuni anni o solo. La giovane volle sapere ogni particolare del passato di Andrea Uccio e della sua famiglia. La donna la contentò volentieri, poi se ne andò per i fatti suoi. Arrivata a casa, la bella siciliana mandò una sua cameriera all'albergo dove alloggiava il giovane, con l'incarico di invitarlo a casa. La mia padrona, disse la cameriera ad Andrea Uccio, ha qualche cosa di importante da farvi sapere. Ricordando le belle fazzezze della ragazza, Andrea Uccio vi andò subito, guidando la cameriera fino al malfamato quartiere del Pertuglio, nelle vicinanze del porto. La siciliana, che era una donna di malappare, vedendolo arrivare gli corse incontro a braccia aperte, lo strinse al pieno e lo guidò dentro la sua casa, che era molto ricca, fino agli tappeti di tendaggi. Andre Uccio si credeva un gran bel giovane, lusingato da una simile accoglienza, era convinto di aver fatto colpo sulla ragazza. Mi andava dicendo. Come puoi conoscere il mio nome? Stamattina, al mercato, il caso volle che ti fossi vicina, mentre la mia vecchia cameriera, che ora è a servizio presso altri, ti parlava di quando eri fanciulla a Palermo. Sentendola fare il suo nome, rimasi senza parole. Andre Uccio è il nome di un mio fratello, che non ho mai conosciuto, perché ne sono stata separata quando avevo un anno o due. Aspettai che la vecchia se ne andasse, non osando avvicinarmi a te, ma la raggiunsi poco dopo, e da lei senti con certezza quanto avevo intuito. Andre Uccio, sei tu mio fratello? Così dicendo, gli gettò le braccia al collo un'altra volta. Come può essere questo? Domandò il giovane. Pietro, mio padre è tuo? Gli spiegò. Viverà lungamente a Palermo, come saprai. Là conosce quella che fu la sua madre, ed ebbe nei due come figlioli. Nostra madre morì dandomi alla luce. Pietro se ne andò un anno dopo a Perugia, portandoti con sé e lasciando me nelle mani della nonna materna. Tu avevi allora tre anni. Morto presto anche nostro padre, come ti hai noto, noi siamo cresciuti lontani, sconosciuti l'uno all'altra. Quando avevi vent'anni, andai sposa a un ricco signore palermitano, gran favorito del re Carlo. Con mio marito sono venuta a Napoli, dove sono conosciuta come Madame Fior da Liso. Ora mio marito è in viaggio, ma quando tornerà, sarà felice di sapere che ho ritrovato il fratello del quale gli ho parlato tante volte. Abbalendosi di quanto aveva saputo dalla vecchia, gli domandò poi dei suoi parenti con tanta precisione di particolari, che Andreuccio fu certo di aver trovato una sorella. Fior da Liso, finiti convenevoli, gli fece servire dei rinfreschi e, sempre bezzeggiandolo e spesso abbracciandolo e baciandolo, lo convinse a restare con lei per la cena. Serviti dalla cameriera che era andata a invitare Andreuccio, i due stessero a tavola fino a notte fatta, conversando e mangiando. A Napoli, gli disse a una certa ora Fior da Liso, è pericoloso circolare di notte, perciò ti ho fatto preparare una camera, dove tu puoi dormire tranquillamente come in casa tua. Venuta l'ora di coricarsi, Andreuccio entrò nella stanza che gli era stata destinata, accompagnato da un servitorello che gli mostrò ogni cosa e soprattutto la porticina del cesso. Andato via il ragazzo e prima di spogliarsi, Andreuccio entrò nel camerino, ma appena dentro il pavimento, che funzionava come trabocchetto, si ribaltò e il giovane cadde in basso, finendo sul fondo di un chiassezzo, dove stagnava più di un metro di sterco e gli smaltò la caduta, ma lo incatramò da capo a piedi. Dibattendosi in quella sporcizia, il poveretto cominciò a gridare, ma nessuno lo ascoltava. La sorella, intanto entrata nella camera, si impossessava della sua borsa con i 500 fiorini d'oro. Vedendo che nessuno accorreva in suo soccorso, Andreuccio provò a disarsi su di un muro che chiudeva il chiassetto verso strada. Ci riuscì e giunto in cima si lasciò cadere all'esterno. Insozzato come era, andò alla porta di madama Fiordaliso e si diede a chiamare a gran voce la sorella, ma vedendo che nessuno compariva alle finestre, afferrato un sasso, cominciò a percuotere i battenti e a scuoterli vigorosamente, finché si aprì silenziosamente una finestra del pianterreno, la quale affarga un gigante barbutto, che con voce cavernosa gli ingiunse di andarsene immediatamente se non voleva essere ucciso a bastonate. Spaventato dalla faccia e dalla voce dell'energumeno, Andreuccio lasciò cadere in terra il sasso e volse da schiena quella maledetta casa. Non avendo il coraggio di presentarsi nel verde insozzato e puzzolente come si trovava, si diresse verso il mare, nel quale contava di immergersi e di lavarsi. Sboltato un angolo, vide due uomini che venivano verso di lui con una lanterna in mano. Temendo che fossero delle guardie, si cacciò dentro un cortiletto e si accobaggiò in un angolo. I due, senza averlo visto, vientrarono anche loro e posato la lanterna in terra, si misero ad esaminare certi ferramenti che portavano in collo, ma uno di loro alzò il capo e disse Cos'è questa putta? L'altro prese di terra la lanterna e, girandola intorno, vide ragomiltelato su se stesso il povero Andreuccio. Gli domandò cosa facesse in quel luogo e come mai si trovasse così coperto di lordura. Quando Andreuccio ebbe raccontato quello che gli era accaduto, i due, parlando tra di loro, conclusero che il disgraziato doveva essere capitato nella casa del brigante Scarasone. Buon uomo, disse il primo. Ringrazia Dio che ti è andato ancora bene, perché sei uscito vivo, anche passando per l'osterico, da quella casa. È un vero miracolo che non ti abbiano ammazzato. Stai zitto e non dire a nessuno quello che ti è capitato, perché se parli fanno sempre il tempo ad accopparti. Al tuo denaro non ci pensare più e vieni con noi, che andiamo a fare un grosso colpo. Se ci eviterai avrai la tua parte. Andreuccio, sperando di rifarci del danno subito, non domandò altro e gli seguì, ma i due vollero che si ripulisse un poco, non potendogli stare vicino per il gran fettore che mandava. Andarono per lavarlo all'aneglio, a un pozzo poco distante, ma giunti al pozzo trovarono che dalla carrucola pendeva solo la fune senza il secchione, forse rubato da qualcuno quella stessa notte. Pensarono allora di calare Andreuccio nell'acqua. Lo legarono saldamente in vita e lo fecero scendere piano piano, finché, toccato il fondo, il giovane cominciò a lavarsi. Mentre i due aspettavano, seduti sul parapeto del pozzo, spuntò da una strada un drappello di guardie. I ladri credettero bene di squagliarsi rapidamente. Le guardie, che venivano al pozzo per bere, deposero per terra le armi e incominciarono a tirare la fune, in capo alla quale si aspettavano di vedere spuntare il secchio pieno d'acqua fresca. Arrivò invece tutto grondante Andreuccio, che riuscì ad afferrarsi al parapeto appena in tempo per non ricadere in fondo al pozzo. Le guardie, infatti, terrorizzate da quell'apparizione, avevano mollato la fune e se l'erano data a gambe. Andreuccio, scavalcato il parapeto, trovò per terra le armi abbandonate dalle guardie e non seppe cosa pensare. Smarrito e confuso, prese la prima strada che si trovò davanti e andò vagando a caso, finché si incontrò con i due di prima che venivano a cavallo dal pozzo. Parlando con loro, tutto gli fu chiaro, tranne l'impresa alla quale si era offerto di partecipare. Ne chiese conto e gli venne spiegato che, essendo stato sepelito il giorno avanti il duomo del archivesco e grande nitaro del regno, monsignore Filippo Menutolo, i due compari avevano pensato di entrare notte e tempo nel duomo, aprire il sarcofago, spogliare la salma di ricchi ornamenti che vestiva, in particolare di un prezioso danello con un rubino del valore di 500 fiorini d'oro. Il giovane era così disperato che ormai gli andava bene tutto, andò quindi di buona voglia alla spogliazione dell'archivescovo. Arrivati al duomo, i traivi entrarono senza fatica rompendo un finestrone. Il sepolcro era di marmo e molto grande, ma quei loro ferri riuscirono a sollevarne il coperchio quanto bastava per alpassare un uomo. Puntellato il coperchio, il primo ladro disse — Chi entrerà dentro? — Io no, disse il primo. — Io neppure, ma ci entrerà il nostro amico. — Perché dovrei entrarvi proprio io? chiese preoccupato Andreuzzo. — Come? Non si può entrare? esclamarono insieme i due compari. — Che abbiamo forse portato con noi solo per compagnia o per darvi una parte del bottino. Se non entri il nostro puzzone, ti ammazzeremo con questi paretti. Vedendo che non vi era scampo, Andreuzza entrò. Appena dentro, tolse l'anello al morto e se lo mise al dito. Poi mandò fuori la mitra, la croce d'oro e il pastorale. — Non c'è più niente, disse. — Cerca, ci deve essere l'anello, insistevano gli altri. — Non lo trovo, gridava Andreuzzo. Convinti che l'anello non ci fosse davvero, i due birboni tolsero il puntello che sosteneva il coperchio, il quale ricadde sull'arca rinchiudendo Andreuzzo insieme al morto. Il disgraziato tentò con tutte le sue forze di sollevare la pesante copertura di marmo, ma finì con l'abbattersi, disanimato, sul corpo dell'arcivescovo, mentre i due se la sviniavano di gran corsa. Quando Andreuzzo ritornò in sé e si vide al buio, medio soffocato dal letto del cadavere, capì che sarebbe morto in quella tomba. Tentò ancora, piangendo e disperandosi, di sollevare il coperchio, ma ormai senza speranza. Solo al mattino, se fosse stato ancora vivo, quando si sarebbe aperto il tempio avrebbe potuto far sentire le sue grida. Ma se anche l'avesse tirato fuori sarebbe stato solo per impiccarlo come ladro. Stando in questi orribili pensieri sentì dei rumori. Era gente che andava per la chiesa e stava avvicinandosi al sepolcro. Dalle loro parole e dal rumore dei ferri che maneggiavano capì che venivano a fare quello che lui e gli altri due avevano già fatto. I nuovi lade, infatti, sollevarono il coperchio e lo puntellarono, ma quando si trattò di decidere chi dovesse entrare nessuno ne voleva sapere. Dopo una lunga disputa si fece avanti uno che disse Di che avete paura? Di venire mangiati dal Civesco? I morti sono morti, vi entrerò io. Cosiddetto salito sull'arca si calò dentro appoggiando il petto sul bordo e mandando avanti le gambe. Andreucciolo prese per i piedi e cominciò a tirarlo. L'altro, dato un urlo acutissimo, sgusciò fuori e si diede alla fuga, seguito dai compagni che parevano incalzati da centomila diavoli. Il giovane poteva allora uscire dalla tomba, calarsi dal finestrone per il quale era entrato nel duomo e raggiungere la strada. Le prime luci del giorno diradavano le tenebre e si cominciava a vedere gente che usciva dalle case. Indito aveva l'anello dell'arcibioscovo che si tolse e mise in tasca prima di arrivare al suo albergo, dove, fatte le valigie, pagò il conto con i pochi soldi che aveva nelle tasche e, lasciata a Napoli in tutta fretta, si diresse verso Perugia. Ogni tanto, cavalcando, si toglieva di tasca l'anello e lo guardava alla luce del sole. In fondo, si diceva, ho quel che avevo prima di partire, ma quanta puzza! Dal rischio che aveva corso di essere ammazzato dal brigante scarafone, di morire nella tomba dell'arcibioscovo o di venire impiccato, era troppo giovane per tenerne conto. Andava allegramente sul suo cavallo per la campagna, sfornando ogni tanto l'animale. Tanto aveva fretta di arrivare a Perugia per raccontare agli amici la sua storia.

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