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11 gennaio, mercoledì, è la seconda settimana il giorno 10 del 2024. Non ci sono notizie particolari del villaggio. Ieri è stata una bella giornata, il sole era caldo, valeva la pena di passare qualche ora in villaggio. Ma oggi che cosa ascoltiamo di Ciabelle Pronto? Nel Luisin Tassista continuano le sue storie, è l'ultima puntata di questa storia. Astria da contrarderrativa. Vediamo. Le carte diranno loro. Io non so nulla. Sono le carte che vi conto. L'importante è di sapere leggerle. Io ho imparato a leggerle dalla mia povera donna, una santa donna ed io la certamente in gloria. Vediamo. Le carte vengono stese a 4 a 4 sul capace gremiule tenuto aperto dalle gambe triangolate. Un momento. Ci siamo. Questa donna ha una brutta ghiglia, è seduta ed è seguita da un ceffo di fante, il che è peggio. Però c'è un rimedio. Se dopo questo sette gira l'asse di quadri. Ecco che è venuta. Salva, ma ci vorrà tempo. Veniamo al secondo esperimento. Il controllo piripiripiri. Piripipo. Giù, giù, giù. Le catene del focolare oscillano, saltano e sbattono contro la capa del cammino. Da uno spioncino sbuca una tortorella gentile e dopo aver svolazzato sul capo delle donne va a posarsi su un cuscino. E la malefiziata sviene. Si provvede con una spruzzata di accento forte a farla rivenire. Beh, non è caso di spaventarsi. Sono momenti e anche innocenti scherzi di spiriti beffardi. Anzi, la loro presenza è stata la sua fortuna. Cara la mia donna, ha visto dove si è posata la tortorella? Su un cuscino. Vada a casa, tocca la fodera del cuscino sul quale lei posa il capo quando dorme. Levi la piuma e la esamini bene. Se trova per caso un ago, una stringa, un ciuffo di capelli o un nastrino, lo tolga e lo porti a me. Ciò è indispensabile per disfare il gioco del malefizio. La stria, dalla contrariati, conosceva bene il suo mestiere. Era molto riservata, sapeva mantenere il segreto e non dava confidenza ad alcuno. In chiesa teneva la sedia e si appostava misteriosa all'ombra incerta delle pareti del confezionale. Non si fermava mai per strada a chiacchierare. Filava dritto, il volto seminascosto. Ogni tanto si inoltrava a incontrare le rati qualche vettura padronale. La strega vi saliva frettolosa. La vettura partiva velocemente. La gente spalancava gli occhi e rimaneva confusa. Pensava, certamente c'è di mezzo qualche stregoneria di grande importanza. La strega non si confessava mai a busto. Si sapeva che andava a Verghera, se almeno la strega lo lasciava credere, e tutti sanno che Verghera era molto rinnovata per i convegni di stregozzi. Questo fatto contribuiva a circondare la strega di prestigio e di suggezione. Una donna che, inconsaputamente aveva affidato dei locali nel cortile della strega, venuta in a conoscenza, credette opportuno di chiedere consiglio al suo confessore, a quale certamente doveva aver fatto scuola a donna abbondio, se così rispose. Ha istruito? Bisogna credere? No. Ha conquistato? Le mecche classiche? I sovreduti? Pazza, sa mai! Dei che impongiamo a sé e in stessa a vostra. Più abbiamo dato un'idea delle sedute delle streghe. Le malefiziate, prima di uscire dal loro tormento, dovevano far ritorno più volte dalla strega con le mani ingombre. Una volta una gallina, un'altra le uova, un'altra il coniglio. La strega non voleva essere pagata, si degnava semplice. Madonna delle grazie! E col mente di accettare delle offerte, come un suggerimento dell'accomplice della strega, le malefiziate arrivavano a offrire orecchini, spirre, anelli d'oro. Una pazza. La polizia aveva già avuto il sentore di qualche cosa di poco pulito e sorvegliava. A far scoppiare la bomba concorse un'imperdonabile imprudenza alla strega. A una malefiziata alzardò indicare la vecchia matrina come autrice del malefizio. Fu il finimondo. La malefiziata si confidò col marito, il quale se la prese con la matrina della moglie e voleva inforcarla con un tridente. Sollevamento dei familiari e intervento dei carabinieri. La conclusione fu che la strega finì in gatta buia a meditare le sue ballossate. E dopo che i carabinieri vennero i piccogneri, il fabbricato che ospitava la strega venne abbattuto. Sorsero le scuole comunali Giuseppe Carducci, che attualmente ospita un liceo-gimnasio. Quanto cammino il breve volgere di anni! E che cosa ne pensa la malefiziata? Che è sempre al mondo sana, robusta, gioviale, ancorché vecchiosa, circondata da figli e nipoti? A quante panzane si credeva una volta? Parole milanesi. E di? Di come dire? Dig adre a quaisun, parlare male di qualcuno. Di si ben li, voglio ben dire. Di da si o di da no. Dire di si o dire di no. Di su, cioè racconta, dai, parla. E fagala di a quaisun, ma spuntarla contro qualcuno, sia una controversia, sia una semplice discussione. Ha gana di un sacco e gana di da tutti i colori. Giene a dete un sacco o di tutti i colori. E ma che è poco da di? Che è poco da dire. L'orazione da di o di dimont, l'orazione prescritta per il giorno dei morti. Mia par di ma, non per dire, ma trovada di, cioè trovare da ridire. E veg un bel di, avere un bel dire. Aveg da di, avere da dire. Usato anche nel senso di si, a di, che facesse bel, si puderia lasci a ca l'ombrello. Se fosse nel tempo si potrebbe lasciare a casa l'ombrello. Il Rattin si trova in Galleria Corso Vittorio Emanuele II. Il 13 settembre 1877, quando venne inaugurata la Galleria Vittorio Emanuele II, era già attivo un sistema di illuminazione a gas, per quello che ben presto sarebbe stato ribattisato il Salotto di Milano. Lampade a candelabro con fiammelle venivano accese ogni sera dai lampè, gli operai adetti all'accensione dei lampioni pubblici. E l'elettricità infatti arriverà soltanto a partire dal 1885. L'unica parte della Galleria che non poteva essere raggiunta facilmente era la cupola, alta più di 50 metri dal suolo. Per ovviare al problema l'architetto Giuseppe Mere Igoni, progettista del capolavoro in ferro, inventò un ingegnoso marchigenio caricato a molla, simile a un topolino, che correva su una rotaia posta sulla circonferenza della cupola. A pochi centimetri da un sistema di ugelli a gas per l'illuminazione. Il piccolo carellino, detto appunto Rattin, era munito di un tampone bevuto di liquido infiammabile e una volta acceso propagava la fiamma lungo tutti i rumi della cupola, producendo anche uno spettacolo suggestivo per il pubblico che vi assisteva ogni sera. Oggi il Rattin è costruito a Palazzo Morandi. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org

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