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Buto Legna!

Buto Legna!

Cea Venetia

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Breve racconto sulla Cultura Veneta.

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The speaker is excited about the idea of a column focused on Venetian culture. They have a dream where famous Venetian figures visit them, including artists like Tiziano, Palladio, and Vivaldi, as well as writers like Tito Livio. They also encounter musicians, architects, and even Marco Polo and Christopher Columbus. Towards the end of the dream, the speaker meets a Venetian family who represents the millions of Venetians who had to emigrate for a better future. The dream ends with a message to keep the Venetian spirit alive. Butto a legna Quando in redazioni di occhi con Anna abbiamo parlato di una rubrica incentrata sulla cultura veneta, non stavo quasi nella pelle della felicità. E così, appena salutati, passeggiando lungo la vrenta, con la mente entrata in modalità L1, ossia lingua madre, la frase che si è immediatamente materializzata nella mia mente è stata «Sì, ho tranqui figata, a me goda contare sui veneti e del pienare un sacco e nasporta». Ecco quindi che, ancora emozionato per la novità, quella notte stessa, non riuscendo a pensare ad altro, ho fatto parecchia fatica a prendersi sonno. Comunque sia, verso le tre del mattino, quando credevo finalmente di esserci riuscito, ecco che, sul più bello, come previsto, sono arrivati loro. «Dling-dlong», sento suonare, «apro la porta del subconscio mezzo intontito? Sì? Ciao boccia, son tenore! Ammarie, ho pensato, partimo da distante, ciao! So sta il capo dea cavalleria dea città de Troie, tremia dosentu anni fa, vo fonda a Padova. Mi fa l'umone in armatura, tutto bello impettito. So il progenitore dei veneti, teghè da parlare de mi? O so sì che che te sì,» ho risposto sbadigliando, «dai entra e mettete i patine che vo pena lavà par terra. Non faccio tempo a chiudere la porta che mi vedo arrivare una guerriera stippata di inverosimile. Sulla fiancata c'è scritto «Artisti Veneti», sento una frenata brusca e un secondo dopo mi si mette davanti l'autista con quattro tour per Eltos. Riconosco a Naso Tiziano dal Cadore, Palladio da Vicenza, Vivaldi da Venezia, Canova da Possagno e Tito Livio da Padova, i fantastici cinque. «Ciao Zonta», mi diceve Ceglio con la pronuncia del mio cognome giusta, alla veneta insomma con la zetta che suono come la s di Naso, «teghè studiarte, quindi poche teghè che ti scisacchi che semo». Per fortuna che anche nei sogni giro sempre con la gente alla pena. «Oh capì, vado a farvi entrare tutti quanti, ora dai scominciamo», dico ad alta voce, «mettite in fila che me segno». Considerando che gli artisti veneti hanno prodotto un sesso del patrimonio artistico mondiale, so già che sarà dura. Comincio comunque dalle superstare, ossia da quelli che vengono obbligatoriamente inseriti in emanuali d'arte di tutto il mondo. Nel gruppo dei pittori mi trovo invece i fili indiani dietro a Tiziano, il Bellini, Mantegna, Cima da Conegliano, Carpaccio dal Piombo, Lotto, Giorgione, i due da Ponte, Tintoretto, Veronese, Tiepolo, Canaletto, Piazzetta, Ricci, Aiaz, Guardi e Longhi. Accanto al Palladio, tra gli architetti, c'è Luciano Laurana, Longhese e Piranesi. Quegli scultori, assieme al Canova, mi passano di fianco l'altro Laurana, Francesco, poi Tartaglia e Corradini. A guardarmi un po' storto, per il mio modo di scriverci, sono i letterati, quelli veri, Contito Livio, Cattullo, Ruzzante, Trissino, Bembo, Pindemonte e Foscolo. Guardoni a dire la verità, mi lancia una smorsia allegra e se la ride. Tra i musicisti ho tre Vivaldi ad armi cinque, c'è Salieri, Tartini, Albinoni. Riconosco Bartolomeo Cristofori nel gruppo, che col chiaro intento di intruffolarsi fa finta di non vedermi. E lui, dico indicandolo col dito, il Preppe Rosso, ossia Vivaldi, mi guarda e alza le spalle. E avventa il pianoforte, vuoto non metterlo. Nianche una parola gli ho risposto, dai avanti tutti dentro. — Aspetta, per favore, aspetta, mi fa un capellone con l'accento britannico arrivato di corsa. Lo scrittore di Boiace Veneti in cinque mi opere. Posso entrare, per favore? Mi hai fatto entrare? — Ah sì, Shakespeare, e che magari anche altro, prego. Non faccio tempo a chiudere la porta del subconsciente, che mi sento battere sulla spalla. Due gentildonne, accompagnate a bracetto, donna elegantone, incipriato, mi fanno la riverenza. — Con il piacere di presentarle Elena Lucrezia Cornaro, prima donna laurea al mondo e Cristina De Pisano, prima scrittrice professionale e bestseller. Mi fa il tipetto con bel farse lucente. E mi... mi son... — Oh, so che ti si furbassa, don Casanova, e adesso ho capito perché non ti sei venuto a correre degli artisti veneti. Ma guarda che ti si, eh. Ora pronobis. A scrivarmi, senza tanti complimenti, mi passano avanti i dieci papi veneti, seguito da un bel tipo fornito di barba ad Aiz, a Oreola e Librone in mano. Al suo fianco un leone enorme con le ali. Faccio passare la committiva mettendomi di lato. Poi guardo San Marco, ed indico col dito il filino alato. — Eminenza, tanto per saver... — Padre Opeo? — Pena petena, mi risponde l'evangelista in posizione iconica. — Cosa vuoi fare? — Fu uno grande e grosso culturbante in testa. — Chi sei quei tre miei amici che li faccio casare? A parlarmi è Bezzoni, il padre dell'egittologia, il più grande indiano di tutti i tempi. — Mi sono andato in Cina, fa Marco Polo. — E ora? — Mi ho fatto per primo il giro del mondo, risponde Pegasetta. — E mi ho scoperto in Canada, dice Caboto. — Oh così, da lì viene calmata, dico alzando oniricamente la voce. — Che non mi tocca chiamare il butafora? — I pesci mi fanno muore con lo sguardo trucce da sbudogliatore medievale. — Ah, ti si tiese lì, sempre pronto a menare mai? — Boh, sai che ti si qua, va a dire a tutti che si vuole a sto punto che puoi mettersi una sagra. Reparti in opera, non se puoi. In mezzo a tutto quel grambucciare mi rivedo a un tenore che gira tutto orgoglioso tra i suoi discendenti. Quando i nostri ottici incrociano mi fa segno che una mano deve avvicinarmi, e poi mi indica una famigliola. — Guarda. — Quasi nascosti tra la folla c'è un uomo, una donna e tre figli. Il più piccolo è appena un bebè e sta in braccio coccolato dalla madre che vi sveglia una canzoncina che mi porta indietro nel tempo. — Maninabea, fatapenea, dove si tosta? Il padre invece mi fissa serio. Ai suoi piedi c'è un vecchio baule borchiato, con attaccate alla meno peggio e bandieri di mezzo mondo ormai sbriadite dal tempo. Quando i nostri occhi si incrociano i due genitori venetimi guardano con l'espressione più fiera che abbia mai visto. Le loro mani sono rubide e nodose, la pelle di visi segnati dalla fatica e dal dolore di chi è stato costretto a lasciare per sempre la propria terra, quella dei loro avi. Sono i cinque milioni di veneti, comunità intera che dal 1866 per un intero secolo sono dovuti emigrare per dare un barlume disperante al futuro dei propri figli e dei parenti rimasti in patria e quelle rimesse di denaro sbriate dall'estero. — Che sai chi che siamo? mi fa l'uomo scandendo parole pesanti come vaccini. — Che sai perché siamo due scampare e quei ho che ghemo patio? — Sì, rispondo io con filo di voce, lo so. All'improvviso dentro la mia mente tutti i miei illustri ospiti si agitiscono, poeti, pittori, papi, guerrieri, tutti quanti con gli occhi puntati su di me. Antenor è mia ancora vicino. — Zonta, mi dice, dentro di te e di ogni veneto di questo pianeta c'è un tocchettino di tutti noi altri, la nostra creatività, il coraggio, la determinazione, il successo professionale, ma anche tante tragedie che ancora non si vuoi contare. Fatto star che noi altri siamo qua, i nostri geni si è come un fuoco che da quasi per mila e duecento anni ne scalde gli animi e non si ga mai stua. Guardo il mitico fondatore di Padova senza dire una parola. E adesso fa anche a te, a tua picquissima parte, mi dà una pacca sulla spalla e ride con i mani all'edizione di occhi di marzo. Fa del tuo e scrive di tutti noi altri, dei tuoi vecchi, dei tuoi anni passati. Butta legna su quel nostro fuoco sacro boccia. Butta legna.

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