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Penso che mi sentiate tutti e allora partiamo ponendoci un'altra domanda e nella venerdì scorso abbiamo cercato anche di rispondere alla domanda in che senso e quando si può fare la comunione sotto le due specie e ho cercato di illustrare quali sono i motivi e anche le situazioni in cui è consentito fare, o anche raccomandato, fare la comunione sotto le due specie. Adesso ci poniamo quest'ulteriore domanda. Perché i fedeli ricevono solo l'ostia normalmente, che è il modo più semplice, più comune di poter accedere alla santa comunione? Non c'è una regola precisa. Come si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica, Gesù è presente sacramentalmente sotto ciascuna specie, sia nel pane, sia nel vino consacrato, ed è presente totus, cioè totalmente corpo, sangue, anima e divinità sotto una sola specie. Perciò è sufficiente anche riceverne una sola specie, solo una. È il sacerdote che decide se somministrare anche il vino, magari intengendovi l'ostia, in quelle situazioni, in quelle occasioni in cui questo è consentito o è raccomandato. Ciò che il codice diritto canonico impone al sacerdote, invece, è di consacrare sempre sia il pane, sia il vino, e questo è appunto obbligatorio, la consacrazione sia dell'uno, sia dell'altro. Se mancasse o l'uno o l'altro, il sacerdote non può celebrare l'Eucaristia. Anche il prete può prendere solo l'ostia? No, lui e gli eventuali concelebranti devono ricevere, anche se in minima parte, il corpo e il sangue di Cristo, attraverso le due specie, del pane e del vino. E se il sacerdote è astemio? Non può far a meno di assumere il vino consacrato, seppure una goccia, però almeno una goccia la deve, appunto, assumere. Per comunicarsi, però, basta anche una piccolissima quantità di vino, presa magari intengendovi leggermente l'ostia consacrata. E poi al vino viene sempre aggiunta anche un po' di acqua, naturalmente questo durante l'offertorio. E se resta un po' di vino nel calice? Se al termine della distribuzione della comuniore rimane un po' di vino nel calice, deve essere bevuto dal sacerdote o da un altro ministro, può essere appunto il ministro per la distribuzione straordinaria dell'Eucaristia. Chi getta il vino consacrato, lo porta via o lo conserva per usi sacrileghi, naturalmente è scomunicato. Perché si tiene, altra domanda, perché si tiene durante la celebrazione coperto il calice? Il calice è tenuto coperto con un piccolo telo detto copricalice o palla. Naturalmente non è il pallone, qui è chiamata palla appunto quel piccolo telo che è un quadrato che normalmente viene posto sul calice dopo, soprattutto, soprattutto dopo la consacrazione, per evitare che vi possono cadere elementi estranei, soprattutto dopo che il vino si è trasformato nel sangue di Cristo. Cosa si fa se cade una goccia il vino consacrato? Il Messale, che è in uso da parte liturgico, da parte del sacerdote, dice se si versasse qualche goccia del sangue del Signore, si lavi il luogo con acqua e l'acqua si versi nel sacravio, una sorta di lavabo, di contenitore, che viene tenuto normalmente in sagrestia, che si trova appunto in sagrestia. Tutto questo ci dice il rispetto anche verso la minima goccia di sangue, perché di vino che è sangue di Cristo, perché anche la minima goccia è pur sempre sangue di Cristo consacrato. Bene, entriamo adesso un po' nella comprendere un po' il valore e il significato del vino, e partiamo anzitutto da quello che è il contesto biblico. La Bibbia che cosa ci dice riguardo al vino? E soprattutto partendo dall'Antico Testamento e poi venendo anche al Nuovo Testamento. E questo per comprendere anche il perché Gesù Cristo ha scelto il vino per l'Eucaristia, in modo che attraverso questa conoscenza del significato, del valore, dell'importanza del vino, sia nell'Antico e nel Nuovo Testamento, vediamo anche il perché e riusciamo a comprendere anche le motivazioni per cui Gesù Cristo ha voluto appunto, istituendo l'Eucaristia, utilizzare il vino oltre che il pane. Anzitutto vediamolo dunque il vino nell'Antico Testamento. La vite viene presentata nell'Antico Testamento già nella Genesi, nel Libro della Genesi, come un bene particolarmente prezioso, simbolo di prosperità e amore di Dio. Il vino dunque appare già nell'Antico Testamento come segno di prosperità, come un dono che Dio fa agli uomini, segno del grande amore che Dio ha verso gli uomini e quindi diventa anche il segno di prosperità per l'uomo, di abbondanza. Offerto a Noè dopo il diluvio, la Genesi capitolo settimo. E poi il Cantico dei Cantici a confermarci questa versione, dicendo, scrivendo, mi siano i tuoi seni come i grappoli della vite. Sapete che il Cantico dei Cantici è un Libro dell'Antico Testamento e che parla dell'amore fra l'uomo e la donna che diventa segno, immagine, dell'amore di Dio per il suo popolo. Dio quindi per manifestare l'amore per il suo popolo utilizza il linguaggio di due innamorati, di un uomo e di una donna. Utilizza non solo il linguaggio ma anche le immagini, le parole che si scambiano i due innamorati. E dunque in questo contesto, appunto, utilizza l'immagine dei seni come i grappoli della vite e, appunto, per indicare questo amore che Dio ha per il suo popolo, prendendo dunque l'immagine sia dal mondo naturale, i grappoli d'uva, dalla natura, e sia anche dalla donna, in questo caso i seni della donna. Il profumo del tuo respiro, è ancora il cantico dei Cantici, come quello dei cedri, e il tuo palato come ottimo vino, che scenda dritto alla mia bocca e fluisca sulle labbra e sui denti. Vedete dunque come anche un linguaggio molto concreto, preso proprio dalla situazione quotidiana che può, appunto, esserci nelle relazioni fra le persone. Nell'Antico Testamento, per annunziare i grandi castigli al suo popolo che lo offende, Dio parla, ad esempio, della privazione del vino, in questo caso, appunto, Dio utilizza la situazione di privazione del vino come segno del distacco che il suo popolo ha nei suoi confronti, nei confronti di Dio, e quindi i grandi, e quindi anche i grandi castigli che Dio, appunto, minaccia al suo popolo che lo offende, che si distanzia da lui, che si distacca da lui, ecco, Dio parla come castigo di privare il suo popolo del dolce nettare e del vino. Il solo vino da bere è allora quello dell'ira divina, è il calice che stordisce, l'ira divina che è, diventa, appunto, e viene trasmessa attraverso, appunto, questa immagine del vino da bere. Per contro, la felicità promessa da Dio ai suoi fedeli è espressa sovente sotto la forma di una grande abbondanza di vino, quindi sia la situazione di distacco del popolo da Dio, sia la situazione di vicinanza, di amore del popolo nei confronti di Dio, viene utilizzato sempre, molte volte viene utilizzato, è il vino stesso, la realtà del vino. Nel primo caso, con l'abbondanza, quando fra Dio e il popolo c'è amore, e nel secondo caso, invece, quando c'è il distacco del popolo da Dio, come privazione del vino. Come si vede negli oracoli di consolazione dei profeti, e qui abbiamo molte citazioni della Bibbia che ci presentano questo aspetto. Pertanto, nel linguaggio biblico, il calice da bere è un'immagine con diversi significati. Può essere il calice della gioia, ecco, anche questo linguaggio che adesso stiamo approfondendo, teniamolo presente che ci aiuta a comprendere meglio anche la Eucarestia da questo punto di vista, è il calice della gioia, è il calice della consolazione, offerto alle persone in lutto dopo i funerali, nell'Antico Testamento. Il calice dell'ospitalità, confronta il Salmo 22-23, è il calice del rito pasquale, della celebrazione della Pasqua. Vedete i vari significati che non è finita ancora. Il calice del sacrificio nel Tempio, il calice inteso come coppa di vino, segno della benedizione divina. Questi significati noi li ritroviamo in gran parte, appunto, nei Salmi, e qui ne sono indicati alcuni. Il calice dell'ira di Dio, espressione della prova lancerante, dell'amarezza. Il calice della sofferenza, della collera, del giudizio, castigo di Dio, sempre attraverso i Salmi. Nella mano del Signore è un calice ricolmo di vino drogato, ci viene detto nell'Antico Testamento. Egli ne versa fino alla feccia, ne verranno tutti gli empi della terra. Qui, appunto, il Salmo 75 usa, appunto, il vino, il calice, proprio per dire che questa sarà la condanna, appunto, riservata agli empi della terra. Nell'ambiente giudaico la metafora del bere il calice veniva spesso utilizzata per indicare anche l'accettazione del martirio, e Gesù infatti dice ai suoi discepoli a un certo punto, e questo è narrato nei Vangeli, siete disposti a bere il calice che io berrò? E loro rispondono sì, siamo disposti. E quindi il bere il calice diventa sinonimo di accettare, accogliere il martirio per proclamare la propria fede con Gesù Cristo, in Gesù Cristo. Il vino, dunque, a differenza del pane, non è pertanto principio di sussistenza per l'uomo, e cioè si può vivere anche senza il vino, non è dell'ordine della necessità, perché senza vino si può di certo vivere. Il vino è invece simbolo della gratuità, proprio perché non è una necessità diventa una gratuità, e dunque da parte di Dio c'è una sovrabbondanza di amore, di dono, dando appunto e creando il vino proprio come un elemento da gustare, da bere, come segno della sua, come segno di gratuità, perché non c'è un obbligo da parte di Dio, e non c'è neanche un obbligo da parte dell'uomo di bere il vino per vivere. Può vivere benissimo senza vino. E dunque ecco, diventa il segno di questa sovrabbondante amore gratuito di Dio, Dio che non solo ti dà ciò che è indispensabile per la tua vita, ma ti dà anche ciò che è un po' il superfluo, perché è segno del suo amore gratuito, sovrabbondante, verso noi persone umane. Narra dunque l'eccesso della vita umana, un superfluo che va ben oltre le necessità, è sinonimo di festa e pienezza di vita, perché destinato alla gioia il vino richiede la comunità, richiede l'insieme delle persone, essendo appunto un bene che rende festoso, rende gioioso, rende gioioso lo stare insieme, lo rende festoso, e dunque richiede la condivisione e il legame sociale. Pertanto ecco il vino che va condiviso, che va bevuto insieme come segno di festa, di gioia, condivisa, e non semplicemente da solo, naturalmente il vino può essere bevuto anche da solo, ma quando è bevuto anche insieme diventa, crea unione, crea condivisione, certo qualche volta se si eccede naturalmente può anche creare situazioni anche un po' spiacevoli, e se non addirittura anche molto spiacevoli. Comunque, questo per quanto riguarda l'Antico Testamento vedete che il vino è molto presente e ha vari significati e soprattutto indica questo legame, anzitutto è un dono ricevuto gratuitamente da Dio, e poi indica anche un modo di relazionarsi tra Dio e noi, che può essere di amore, di consolazione, ma anche magari di privazione di questo bene, quando il legame si interrompe da parte del popolo, da parte nostra, e nello stesso tempo poi anche il vino, anche nell'Antico Testamento, è un mezzo per creare un legame, una condivisione sociale. Andiamo ora al Nuovo Testamento. Nei Vangeli troviamo diverse parabole con temi ricollegabili a rosso nettare al vino. Ad esempio la parabola della coltivazione della vigna, Matteo capitolo XX. La remunerazione degli operai, Marco capitolo XII. I vignalioli cattivi, omicidi, Matteo XXI. A Pietro, che con la spada tenta di impedire la sua cattura nel Getsemani, Gesù replicherà, non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato. Vedete, qui si ricollega a quel significato del bere il calice che abbiamo trovato anche nell'Antico Testamento. Indica dunque che questa è la via, quella della croce, tutt'altro che facile e trionfale, che conduce però alla gloria, la passione mezzo per la glorificazione. Si tratta di quel calice per cui Gesù, nell'Orto degli Olivi, ha pregato che se era possibile passasse da lui. Passi da me questo calice, Abba Padre, tutto a te è possibile, allontana da me questo calice. Ma subito aggiunse, non come voglio io, ma come vuoi tu. Gesù parla di calice anche quando chiede ai suoi discepoli, come poco fa citavo, potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato. Marco, capitolo decimo. In tale contesto allude al suo martirio. Indica il suo destino di sofferenza, di morte. Le fonte cristiane citano il vino anche come elemento rappresentante la gioia di vivere. Lo stesso Gesù non disdegna di berlo e notiamo che il primo miracolo che lui compie è proprio la trasformazione dell'acqua in vino alle nozze di canna, per venire incontro a questa situazione increciosa in cui si erano venuti a trovare questi sposi, novelli sposi, durante appunto il banchetto a cui era stato anche invitato Gesù, la Madonna, con alcuni anche discepoli. Il vino diventa simbolo del sangue di Cristo nell'ultima cena. Non è dato sapere il tipo di vino che venne bevuto, perché nei Vangeli si parla solo di frutto della vita, ma si presume fosse di tipo rosso, per la somiglianza al sangue, versato per noi e per tutti in remissione dei peccati. Per la somiglianza al sangue si presume dunque che sia stato vino rosso, ma non abbiamo nessuna certezza a riguardo. Entriamo ora, dopo aver appunto risposto nella prima parte, nei precedenti incontri, a varie domande che riguardano un po' la nostra celebrazione eucaristica. Poi abbiamo visto il vino nell'Antico Testamento, il significato del vino nell'Antico Testamento e nel Nuovo Testamento. Adesso entriamo un po' in quelli che possono essere un po' i vari significati, le varie risultanze che appunto circa il vino possiamo comprendere alla luce della tradizione di questi duemila anni della fede cristiana, come l'hanno vissuto le prime comunità cristiane, questo fatto del vino, quale significato ha attribuito al vino ad esempio anche i padri della Chiesa e poi i catechisti, teologi, il Magistero della Chiesa, come appunto sono stati esplicitati i vari significati, i vari valori che sono racchiusi in questa realtà del vino, frutto della vita e del lavoro dell'uomo. Vediamole, ce ne sono vari e che cercheremo appunto di esplicitare e di evidenziare, seppure brevemente, demandando poi anche a voi, alle vostre riflessioni, eventuali approfondimenti. Anzidutto il vino è collegato alla passione, alla sofferenza di Cristo. Proprio Benedetto XVI nell'Omelia del Corpus Domini del 2006 così ebbe a dire il vino parla della passione, qui passione è con la P maiuscola, perché si riferisce alla sofferenza, alla passione di Gesù Cristo. La vita deve essere potata ripetutamente per essere così purificata, il potare la vita è segno di purificazione, per essere purificata da quelli che sono gli elementi che non contribuiscono alla sua crescita, alla sua riuscita, ed è la potatura che si fa dopo la vendemmia in vista appunto della nuova fioritura che farà la vita e poi dei nuovi frutti che produrrà l'anno successivo. Ecco questo potare la vita, Papa Benedetto ci aiuta a richiamare un po' l'essere anche nostro che dobbiamo passare tramite la sofferenza, la passione, che costituisce anche per noi una potatura, un taglio, per essere appunto anche noi purificati. L'uva deve maturare inoltre sotto il sole, la pioggia, e deve essere pigiata. Ha bisogno di questa maturazione attraverso il sole, la pioggia, e poi va pigiata. Solo attraverso tale passione matura un vino pregiato. Quindi vedete come qui Papa Benedetto istituisce un raffronto, una relazione, una correlazione appunto tra il vino che passa attraverso varie fasi, prima di potatura, di purificazione, poi deve anche essere soggetto al sole e offrirsi al sole, alla pioggia, e quindi essere anche lì purificato e fatto maturare dal sole, dalla pioggia, poi deve essere potato, tagliato, in grappolo, per essere pigiato, e quindi passa attraverso varie fasi, e solo attraverso quindi tali passaggi, di tale passione matura un vino pregiato, e deve passare anche pigiato e poi passare anche del tempo racchiuso in una botte, e poi per poter essere maturo, e per poter essere pregiato. Il vino rappresenta dunque il sangue di Cristo. Il sangue è considerato equivalente di vita, anzi di persona. Non possiamo vivere dissanguati, è segno di vita il sangue, ed è segno appunto della persona vivente, di persona. Sangue versato è come dire che una persona muore di morte violenta. Quando viene versato il sangue si parla appunto di violenza, di morte. Altro aspetto, vedete che sono flash che voglio presentare, poi casomai saranno anche le vostre un po' riflessioni che ci aiuteranno, torna a dire, ad approfondire questi vari aspetti. Il vino è anche in rapporto con la vita quotidiana. Ancora benedetto XVI in una omelia del 29 giugno del 2011, nella solennità dei Santi Pietre Paolo. Perché possa maturare uva buona occorre il sole, ma anche la pioggia, occorre il giorno, ma anche la notte. Perché maturi un vino pregiato c'è bisogno dell'appigiatura. Ci vuole la pazienza della fermentazione, la cura attenta che serva ai processi di maturazione. Mi fa piacere anche parlare questo linguaggio citando Papa Benedetto perché siamo ancora nel mese di ottobre, è vero che ormai le vendemmie nei nostri colli sono già state effettuate e però si sta ancora lavorando a questi processi, a questi vari passaggi del vino. La cura attenta, direi che la vita, e ci dicono un po' i viticoltori, richiede un'attenzione, una cura un po' tutto l'anno e da parte appunto del viticoltore c'è un impegno anche di protezione, non solo di cura, durante l'anno perché è sempre un prodotto molto a rischio la raccolta perché basta un violento temporale con grandine e questo se non c'ha le dovute protezioni, la vite se non è stata protetta appunto con teli appositi adeguati c'è il rischio di perdere in parte o in tutto il raccolto. Quindi il viticoltore vive sempre col patema d'animo, se poi dovesse piovere troppo o fare tempi di troppa siccità anche questo ha delle influenze negative appunto sulla vita e sulla raccolta dell'uva e quindi tutto questo naturalmente porta preoccupazioni da parte del viticoltore. Del vino pregiato è la caratteristica non soltanto la dolcezza ma anche la ricchezza delle sfumature, l'aroma variegato che si è sviluppato nei processi della maturazione e della fermentazione. Penso che tutti quanti noi abbiamo assistito un po' al cosiddetto rito del vino nel bicchiere che va fatto prima girare nel bicchiere quel vino, poi va annusato, va guardato il colore, va osservato il colore, va annusato poi, poi va gustato con una piccola porzione di vino, fatto poi girare all'interno della bocca quella porzione di vino per sentire i vari aromi che procede. Dunque è tutto un procedimento anche questo nel gustare quel vino che dice appunto la dolcezza e la ricchezza delle sfumature. Ora se tutto questo discorso lo trasferiamo sull'Eucaristia comprendiamo bene che dolcezza, sfumature e i vari aromi per indicare i vari aspetti dell'Eucaristia sono tutti un po' collegati a questa dimensione del vino e naturalmente anche i processi per arrivare a quel gustare, quel prodotto richiama anche qui i vari tempi, i vari processi, le varie preparazioni che l'Eucaristia richiede per essere capita, per essere accolta, per essere adorata, per essere gustata in tutte le sue faccettature, in tutte le sue sfumature. Come un po' il vino insomma che richiede anche un po' una conoscenza, una competenza, così anche l'Eucaristia richiede oltre naturalmente al battesimo l'essere figli di Dio che ci consente di accedere all'Eucaristia come figli e come quindi ci dà il diritto di poter celebrare l'Eucaristia e gustare anche il corpo e il sangue di Cristo. Non è forse questa già un'immagine della vita umana e in modo del tutto particolare della nostra vita da sacerdoti, un'immagine della vita umana e della vita soprattutto dei sacerdoti. Abbiamo bisogno del sole e della pioggia, della serenità e della difficoltà, delle fasi di purificazione di prova come anche dei tempi di cammino gioioso con il Vangelo. Volgendo indietro lo sguardo possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose, per le difficoltà e per le gioie. Ecco, ringraziamo per il vino che richiama le difficoltà, i processi vari di maturazione che fa, a cui deve assogettarsi e così anche le gioie e così anche per noi. Ringraziamo il Signore anche per le difficoltà perché ci ritembrano, perché ci purificano, perché ci collegano maggiormente con Dio distaccandoci da certi legami che abbiamo con la terra, che ci ricordano che siamo di passaggio le difficoltà e dunque che siamo in cammino verso la casa del cielo dove saranno superate, non ci sarà più né lutto, né sofferenza, né passione, ma solo Dio nella sua casa che ci riempirà della sua felicità. Per le odie buie e per quelle felici, dunque tutto da lodare e ringraziare il Signore. Possiamo e dobbiamo diventare un solo pane, un solo vino, dobbiamo cioè essere tutti uniti in Cristo, un solo corpo come ci dice San Paolo, perché c'è un solo pane, noi pur essendo molti siamo un corpo solo, tutti infatti partecipiamo dell'unico pane. Possiamo e dobbiamo diventare un solo pane, un solo vino, dobbiamo cioè essere tutti uniti perché c'è un solo pane, San Paolo, noi pur essendo molti siamo un corpo solo, tutti infatti partecipiamo dell'unico pane. La comunione del tralcio con la vite comporta la comunione con gli altri tralci. Ecco, notiamo anche nella vite che c'è questa unione, questo legame dei tralci fra di loro, che non avviene tramite i tralci, ma avviene perché tutti sono innestati sulla vite, e dunque è Cristo che ci unisce a sé e unendoci a sé ci unisce anche fra di noi, come i tralci appunto che risultano uniti fra di loro proprio passando attraverso la vite. Ecco, mi fermerei un attimo qui.