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The transcription discusses the history and paintings of Giovanni Battista D'Alegnano, a painter from the 16th century. Despite not being well-known in art history, D'Alegnano's work can be found in important cycles such as the one in the Oratory of San Rocco in Clana. Through research conducted by various historians, it was discovered that D'Alegnano apprenticed in his uncle's workshop in Como and later moved to Varese. His paintings display influences from Leonardo da Vinci and the Milanese school of painting. Some of his notable works include frescoes in Pianta and Tuceno, as well as a triptych in Carmine, Cannobio. These paintings showcase D'Alegnano's skill in capturing luminosity and expressing emotions. The transcription also mentions a chapel in Pila where D'Alegnano potentially painted frescoes before departing for the alpine pastures. Additionally, it discusses the decoration of the oratory of San Rocco www.redigio.it e la storia continua Alla scoperta della pittura di Giovanni Battista D'Alegnano, vissuto nella prima metà del Cinquecento, le origini e i dipinti in Val di Vigelzo. Negli studi riguardanti la storia dell'arte alegnano non è mai compasso tra i pittori degni di nota il nome di Giovanni Battista D'Alegnano, che tuttavia figura in importanti cicli pittorici come quello realizzato nel 1534 nell'Oratorio di San Rocco a Clana. Abbiamo quindi pensato che fosse opportuno fare chiarezza per quanto possibile su questo nome, conducendo delle ricerche che passano proprio da quel territorio. Ci siamo così imbattuti negli studi storici che Gianfranco Bianchetti ha pubblicato su Oscellana, rivista illustrata per Garbaldosola, che aggiorna le conoscenze sul pittore e anche sulla base delle ricerche condotte da Battista Leoni, pubblicate poi sui bollettini della Società Storica Valtellinese, Pittura tra Ticino e Olona, Varese e la Lombardia Nord-Occidentale, che contiene un saggio specifico sul D'Alegnano di Anna Maria Ferrari. Abbiamo quindi attinto a queste diverse fonti, sia per quanto riguarda alcune immagini, sia per quanto riguarda la stesura del presente articolo, che traccia una panoramica sull'opera di un pittore, le cui origini sono da rintracciare nella città di D'Alegnano. Le origini Giovanni Battista D'Alegnano svolse il suo apprendistato nel primo cinquecento nella bottega comacina dello zio Alvise de Donati, come risulta da una minuta del notaio Giovanni Maria Malacrida, eredata a Montello in Valtellina il quattordici marzo 1524. Nella medesima si dichiara che il maestro Battista, che è un pittore abitante in Como, figlio del fu signor Matteo D'Alegnano, è presente in qualità di missus, rappresentante del maestro Alvise de Donati, pittore anch'esso, abitante a Como, suo zio, per riscuotere dal rettore della chiesa di Santa Maria di Monastero di Mazzalinico l'ultima rata di pagamento dovuto per materiali impiegati e lavori di pittura eseguiti dal maestro de Donati ed altre persone in suo nome, nella detta chiesa di Santa Maria. In altro documento posteriore, del 1537, il pittore Battista, ora abitante a Varese, risulta essere di stilpe nobile in quanto figlio Domini Mattei D'Alegnano. Le sue radici lignanesi non sono discutibili, così come il suo apprenditato presso lo zio Alvise de Donati, che fu in prevalenza pittore ed ebbe inoltre due fratelli, Giovanni Pietro e Giovanni Ambrosio, specializzati nella cultura ligna, in particolare quella rifinita con tipici procedimenti di pittura e duratura. Il de Donati, a sua volta, si era formato in una bottega di Vercelli nel periodo 1491-1495, che poi trasferìsse a Milano, dove almeno dal 1497 al 1501, e forse oltre, tiene lui stesso bottega. Anni di lavoro e di studio, questi milanesi, per Alvise, che arricchisce quanto appreso dalla lezione dei maestri Foppa, Butinone, Zenare, Vergognone e Amadeo nella scultura, con gli straordinari aggiornamenti dell'ultimo decennio del Cinquecento, che sono visibili nel naturalismo che Leonardo esprime nell'animazione psicologica dei personaggi e nella cosiddetta prospettiva aerea dei fondi. Nel corso del primo decennio del XVI secolo, il de Donati si trasferisce a Como, richiamato da prestigiosi commissioni dell'alto lario e della batterina, dove è ancora attivo nel 1524, e dove muore pochi anni più tardi. La presenza di Giovanni Battista Regnano nella bottega di Como è certa fin dal 1529, quando firma il trittico con la Madonna adorante, il bambino e i santi Rocco e Bartolomeo, già nella chiesa di San Gotardo a Carmine Superiore, che è una frazione di Cannobio, e ora nella collegiata di San Vittorio a Cannobio. Si tratta di un dipinto su tavola da 165 x 149 cm, unico caso noto dell'uso di questo supporto da parte del pittore, che negli altri lavori conosciuti ricorre alla fresco. La firma e la data del cartiglio sulla cornice è Battista da Regnano, Pinsit Aditator Comi, in 1529. La Vergine, adorante e bambino, sembra indicare un viraggio, con tutte le limitazioni del caso, verso la lezione leonardesca proprio di molta pittura lombarda a cavallo dei secoli XV e XVI. I dipinti in Val Vigelzo. Mentre si trova ancora a Como, Giovanni Battista da Regnano è chiamato dalla Comunitas Ciotoceni a completare con affreschi la volta del presbiterio. A Pianta è Miotto Bonnale, dell'oratorio di Sant'Antonio da Padova a Tuceno. Nei cinque spicchi della volta sono rappresentati, su quello centrale a ovest, il crocefisso, con i piedi la Madonna e San Giovanni Evangelista dolenti. A quelli a nord, San Pietro e Sant'Antonio Abate, e a sud, San Bartolomeo e San Giacomo Maggiore. Le figure sono incorniciate da fasce salienti in arabesco, mentre alla loro base corre fra due cornici tacanti una fascia affrescata a grottesche, con copie di delfini affrontate, appoggiata a un nosocolo di finte tarsi e geometriche. Ai due lati dell'altare le scritte dedicatoria e la firma del pittore. Confrontate con le figure del Carmine, Osserva e Bianchetti, quelle di Tuceno sembrano più arcaiche, prossime a modelli milanesi risalenti all'ultimo quarto del quindicesimo secolo. Gli effetti luministici, a rilevare i valori plastici dei visi e massimamente dei panneggi, quasi scolpiti dalle ombre e dei lumi canzanti, che riflettono la maniera del buttinone, allargata però alla cognizione di Zenare e Montorfano, nei quali sembrano discendere i tipi di alcuni visi e del Cristo. Il passaggio dai modelli del buttinone a quelli di Leonardo sembrerebbe graduato da una sosta davanti alla pittura del Bramantino, così è suggerita da una Madonna del Latte, 117x75 cm, del 1527, già nella cappella di Garavà ad Albogno di Druonio, salvata dall'ultimo proprietario della cappella, portandola su tela e conservandola presso di sé. Sebbene danneggiata da tempo e dagli interventi di restauro, l'attribuzione a Giovanni Battista D'Alegnano appare certa. Al trittico su tavola di Carmine, Cannobbio, dal 1529, fanno seguito i dipinti attribuiti dalla facciata della loggia dei Bandi, nel centro comunale di Craveggia. Da dove vennero staccati i pochi frammenti della decorazione originale, per riportarli su tela, quindi collocarli nella sala consigliare del municipio. Perso un crocifisso centrale rimangono però la Madonna con bambino, 97x77, e un stanze bastiano, 184x187, datato 1531, incorniciato dalle finte architetture del vano di una porta dipinto di scorcio, con, a destra, la decorazione grotesca di una resina dove compaiono i delfini affrontati dall'oratorio esoceno. I due frammenti sono accompagnati da una serie di stemmi e l'iscrizione dedicatoria. L'incontro con le innovazioni leonardesche, che, avviato con il trittico di Carmine, pare sospeso in questi ultimi affreschi. Si rivela invece nell'epoca successiva attribuita a Battista, a poca distanza dal centro comunale di Craveggia, al margine della mulatiera che conduce gli alpeggi di quella dracolma di Craveggia, nella cappella di Pila, e il pittore realizza, ipoteticamente tra gli anni 1531 e 1534, gli affreschi per due differenti committenze. Entrambe mosse, parrebbe, dal desiderio di prendere comiato dalle immagini sacre, care alle rispettive tradizioni culturali, prima di prendere la via per le sedie stive degli alpeggi. A tale pensiero si è indotti, dall'inusitato, con peggio iconografico, riunito nello stesso luogo di culto. Sulla parete di fondo è visibile il crocifisso, affiancato dai santi Pietro e Giacomo Maggiore, mentre sulla parete sulla sua sinistra si trova la Madonna in trono col bambino che prende la mano della madre, un frutto, preceduta verso l'ingresso da Sant'Antonio Abate. Sulla parete a sinistra del crocifisso ancora la Madonna in trono col bambino, impegnato con la mano sinistra a trattenere un uccellino e preceduta da San Rocco. Sulla volte a volte il monogramma radiato di Gesù, la replica della Madonna in trono col bambino, una caratterizzata dal frutto, l'altra dal uccellino, e suggerisce l'ipotesi che Battista si rifacesse a Modelli e Leonardetti per dipingere con natura letta le immagini sacre. San Rocco a Crana Una memoria manoscritta, rinvenuta nell'oratorio di San Rocco a Crana di Santa Maria Maggiore, attesta a che l'edificio sacro fu eretso per vuoto, fatto durante la terribile pestilenza degli anni 1529-30, e che nel 1534 veniva realizzata la sua decorazione pittorica, affidata a Giovanni Battista del Regnano, il quale risulta ora abitante avarese. Si tratta di un incarico importante nel quale rimangono gli affretti della parete occidentale della Navata, in cui sono narrati in sei quadri, ripartiti da una cornice dipinta, altrettanti episodi della vita del popolare protettore degli affrettati. L'originale, dalla parte iniziale della santa vicenda, rappresentata in altri sei comparti sulla parete di fronte, risulta un poco compromessa e recuperata da successivi interventi. Altre possibili decorazioni sono andate perdute per via di restauri, ampliamenti e ristrutturazioni. In particolare nel presbiterio e nell'imposizione della volta della Navata nella seconda metà del Settecento. Il tema rappresentato pare tratto dalla versione di Acta breviora del 1430 attribuita a Gottardo Pollastrelli, discepolo piacentino del Santo, per via di alcuni elementi descrittivi dell'ambiente nel quale si svolgono le scene. Un deserto simile alla campagna di Piacenza, delle mura merlate evocanti la rocca di Angera, dove morire inchiuso il santo. La sentimentalità teatrale del racconto avvicina il complesso delle scene dipinte ai cartelloni dei cantistorie e al piglio declamatorio e dimostrativo della loro narrazione, qui evocato dalle tedescarie dipinte sui cartigli ai piedi dei quadri, quasi tutte introdotte nella frase «Questo è come San Rocco», dove sembra riecheggiare l'edizione vernacola del Cantanbanco. I quadri sono disposti a tre a tre su due file. Quelli della parete occidentale hanno dei titoli da sinistra a destra. L'esito visibile degli affreschi è strettamente connesso alla richiesta dell'accomittenza di una figurazione, legata a quella pietà popolare, che richiede immagini legibili, con chiarezza e adeguate a una fede semplice. Costruzioni che sembrano riportare il linguaggio pittorico di Battista all'essenzialità degli affreschi attoceno e accennono solo a momenti alle innovazioni vinciane o bramantiniane. Terminata nel 1534, la decorazione pittorica dell'oratorio di San Rocco a Crana, più altre importanti incarichi, si prospetta una Giovanni Battista da Regnano, nelle valli di Orsolane e a Cravenia. E non è finita perché continuerà nelle prossime puntate.

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