Details
Nothing to say, yet
Nothing to say, yet
The transcription discusses the history and artwork of the Church of the Carmelite Nuns in Legnano, Italy. The church was decorated by renowned Italian artists, including Remmo Brindisi, in the 1950s. The murals depict scenes from the life of the prophet Elijah. The paintings were highly regarded, but some were lost over time. The transcription also mentions other artists and their works within the church. Overall, it provides a detailed account of the artwork and its significance. www.redigio.it e la storia continua Gli scomparsi dipinti murali diremmo brindisi per la Chiesa delle Carmelitane Scalze www.redigio.it A ricordarci che la facciata della Chiesa delle Carmelitane Scalze di Via Carmelo a Legnano negli anni Cinquanta fu ricoperta dal ciclo pittorico di un famoso artista italiano, Remmo Brindisi, è venuta lo scorso giugno del 2015 la Pacea Longa, la tradizionale manifestazione impegnata a rinverdire la memoria storica del quartiere Canassa e in tale occasione ha collocato nel luogo le gigantografie dell'opera intera e sollecitati a parlarne sul Rodolfo Terreni e lo fa volentieri anche grazie alle immagini originali cortesemente fornite dalle sorelle del monastero. Già in precedenti pubblicazioni e articoli sulla chiesetta dedicata a San Giuseppe Lavoratore, la cui costruzione iniziò nel 1950. I lavori della chiesa e il comportamento della sede e della comunità religiosa furono finanziati dalla monifica famiglia dell'industriale legnanese Dario Mocchetti, che secondo le direttive di un artista, quasi certamente Enzo Pagani, invitò pittori di chiara fama a illustrare l'edificio religioso. Ognuno doveva portare il meglio della propria arte per decorare il pronao, preparare le pare degli attari, affrescare l'arco dell'attare maggiore, costruire le porte di bronzo e preparare le vetrate, come ricorda un testo dell'allora prevosto nella nostra città di Rigiglio Capelletti. Questi giudicò il ciclo di opere con competenza, o almeno dal suo punto di vista, per una parte ancora legato allo scopo didattico dei temi sacri rappresentati, che è all'origine stessa dell'arte occidentale, ovvero alla necessità di una rappresentazione realistica, affinché anche l'illetterato possa comprendere, attraverso una partecipazione empatica, le parole della Sacra Scrittura. Riguardo le opere ancora esistenti all'interno della Chiesa, la para murale dell'attare maggiore è di Achille Funi, 1890-1972, ed è un noto esponente del classicismo novecentesco. Il cui soggetto è una grande, sacra famiglia, nella quale sono messe in risalto la figura di San Giuseppe e i suoi attrezzi da fregname, in rapporto alla dedicazione alla Chiesa. Nell'altare laterale destro, a metà del corpo dell'edificio, è il dipinto Sacro Cuore, attorniato anche da componenti della famiglia Mochetti, del pittore Eliano Fantuzzi, 1909-1987, che sviluppò una figurazione giocata su effetti di luce e di colore. All'attare opposto, sul lato sinistro, è la para di Enzo Morelli, 1896-1976, Madonna col Bambino e Angeli, opera che il prevosto considerò molto fine, composta, religiosa, di una religiosità primitiva. All'interno della Chiesa sono invece andati persi dipinti che il noto pittore Pompeo Borra, 1898-1973, realizzò per l'arco dell'altar maggiore con i quattro evangelisti attorno a Padre Eterno, così poco divinamente differenziato, secondo il Monsignore, da quei poveri quattro uomini. Nel suo testo critico, Capelletti, parla anche delle porte in bronzo dell'artista Bruno Calvani, 1904-1986, ma non accenna ad altre opere, quali una porta laterale in rame sbarsato di Nino Cassani, 1930, o le vetrate, quattro circolari, del pittore astratista Mario Reggiani, 1897-1980, che danno luce alla navata della Chiesa. Si dilunga invece in altre considerazioni affrontando, brevemente, anche quella che chiama l'esperienza didattico-liturgica, riferendosi in particolare alla pittura di Remo Prindisi sulla facciata della Chiesa, la quale, affinché raggiunga lo scopo della pittura nell'ambiente sacro, c'è quella di insegnare a commuovere. E bisogna attendere che ogni osservatore di oggi riesca a staccare l'occhio e la mente dall'apparenza, ossia dal reale, per vedere il non immediatamente visibile e la verità infalpabile. Così si disse. I murales di Prindisi La decorazione del piccolo pronao che introduce alla chiesetta fu realizzata dal pittore Remo Prindisi, 1918-1996, con episodi salienti della vita del profeta Elia. Fu scelto questo profeta in quanto l'ordine della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, ordine sorto nell'undicesimo secolo in Palestina, sul monte in cui Elia visse e svolse la sua missione, lo considera proprio padre e ispiratore. Il profeta è una di quelle figure più rilevanti nell'Antico Testamento. Le chiesetta sono narrate nei due Libri del Re della Bibbia, nelle quali riportiamo un riassunto in relazione ai dipinti di Prindisi. Elia, ovvero il mio Dio è Yahweh, nome proprio della divinità nel monoteismo ebraico. Elia nacque verso la fine del X secolo a.C. e svolse gran parte della sua missione sotto il regno del pavido Achab. Dòci l'istrumento nelle mani dell'intrigante moglie Gisabel, di origine fenicia, che aveva imposto il culto del Dio Baal. Quando ormai il monoteismo pareva soffocato e la maggioranza del popolo aveva abbracciato l'idolatria, Elia si presentò dinanzi al re Achab a annunciargli come castigo tre anni di siccità. Per la vita di Yahweh, Dio d'Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia fino a quando io lo dirò. Primo re, XVII primo. Perseguitato per questo da Achab, Elia, sempre per volere di Dio, rimase per tre anni nascosto fino a quando Dio stesso gli si rivolse ancora, per mandarlo da Achab e far cessare la tremenda siccità. Egli ritornò dal re e, per dimostrare la inanità degli idoli, lanciò la sfida sul Monte Carmelo contro i 450 profeti di Baal. Quando sul solo altare sacrificale innalzato da Elia, egli accese prodigiosamente la fiamma e l'acqua invocata scese a porre fine alla siccità. Il popolo esultante linciò i sacerdoti idolatri. Quest'ultimo episodio è l'inizio del ciclo pittorico del Brindisi, come si rileva da un'immagine fotografica complessiva, in cui si vedono sul portone d'ingresso il prelato e una monaca di spalle, per non farsi riprendere dal fotografo, con i dipinti ancora racchiusi dentro le fasce di recinzione. E' nella parte sinistra che si osserva, all'inizio della rappresentazione, con il fuoco dell'altare sacrificale innalzato da Elia, che a braccia tese invoca il Signore, mentre nello spazio sopra il portone sembra finalmente giungere dal cielo una cortina di acqua. Amara e incomprensibile appare da Elia la necessità di sottarsi con la fuga dell'era dalla furente Jezebel. Ibracato nel deserto, l'intransigente profeta ebbe un momento di sconforto, ma con l'aiuto di un angelo riuscì a riprendere forza e a rimettersi in cammino per tornare alle sorgenti della pura fede. Il fiero profeta, che indossava un mantello di pelle sopra un rosso grembiule stretto ai fianchi, come otto secoli dopo vestì il precursore di Cristo, Giovanni Battista, di cui è la prefigurazione, tornò con rinnovato il zelo in mezzo al popolo di Dio, ma non assistente al pieno trionfo di Giavè, il Signore. L'opera di riedificazione spirituale venne portata avanti con pieno successo dal suo discepolo Eliseo, che fu anche l'unico testimone della misteriosa finedieria. In una specie di estasi profetica, vide afferrire un carro e dei cavalli di fuoco e l'improvviso elevarsi in cielo del profeta. Questo episodio è il tema del dipinto nella parte destra della facciata della chiesetta. Sulla breve parete che chiude a destra il pronau, il pittore rappresentò altre scene che sembrano precedere cronologicamente quelle a destra della facciata che stanno escritte, come se la lettura dell'intero ciclo procedesse prima da sinistra verso destra, almeno fino a sopra il portone. Poi da destra verso sinistra. Infatti, su questa parete paiono svolgersi i fatti anteriori alla salita in cielo di Evia, quando il profeta fu costretto a salvarsi con la fuga verso il deserto e si abbandonò alla sconforto e alla stanchezza, ma fu salvato dal cibo che gli propisi a un angelo. Camminando poi per 40 giorni e 40 notti, finché giunse al monte di Dio, nel Sinai. Era quello il monte sul quale Mosè si era incontrato con il Signore. Gli aveva dato le tavole dei Dieci Comandamenti. Nel dipinto di Remo Brindisi, l'anziano Elia, siede su un monte e un angelo gli tende la mano, mentre in basso il profeta incontra il giovane Eliseo. Il racconto biblico riporta che Elia entrò in una caverna per trascorrere la notte, quando sentì una voce che gli diceva «esci e fermati sul monte, passa il Signore». Ed ecco il Signore passò. Ci fu un mormorio di un vento leggero e il profeta salì e sentì una voce che gli chiedeva «che fai qui Elia?». Il profeta rispose «il popolo di Israele ha abbandonato la tua alleanza per seguire falsi dei, io sono rimasto solo a parlare per te, Signore, ecco che vogliono togliermi la vita». Ed io «tu non temere, torna sui tei passi nella terra di Israele, la troverai Eliseo che io ho scelto come profeta dopo di te, tu lo chiamerai e lo consacrerai». Elia trovò Eliseo, mentre questi eravano i suoi campi, si avvicinò e gli gettò ad osso il mantello, trasmettendogli così il suo incarico. Ma ecco la sorte dell'opera del Brindisi. Remo Brindisi, impegnandosi nella realizzazione della pittura murale esterna, nel Pronao ebbe il toroto di lavorare imprisionato in un portico che l'ammazza e che fa della sua opera, per molti motivi intelligente e pieni di bravura, soltanto una interessante scenografia. Osserva nel suo testo critico il prevosto, che prosegue dicendo «Noi la sua arte e la visione del suo tema complesso vorremmo definirla così attrazione dell'anima dell'episodio, proiettata come l'Israele, spoglia di ogni tradizionale esigenza di forma, anche se, alle volte, ubbidisce la richiesta di un modellato dal quale ha divorziato». Brindisi, artista d'impegno politico-civile, aveva abbordato una nuova originaria figurazione, ricorrendo a un semi-espressionista con chiare tendenze nell'astratto informale, secondo gli orientamenti del tempo. Più giovane del gruppo dei pittori della chiesa delle Carmelitane, non poteva che portare un linguaggio più innovativo dei colleghi che avevano vissuto la stagione classicista nel cosiddetto Novecento. Dunque, i suoi dipinti, visibili fino al 1959, pur riconoscendone il valore, furono considerati dal prelato non sufficientemente comprensibili, in quanto si allontanavano da una figurazione realistica che avrebbe meglio coinvolto emotivamente il fedele, il quale, invece, si sarebbe trovato di fronte a una scenografia fortemente d'impatto senza comprendere il significato. Quindi, i dipinti furono eliminati, scappellandoli e tinteggiando la parete. Evidentemente, evidentemente ciò rispondeva anche al desiderio di sopprimere dalla priora, che a tempo dei lavori era madre Teresa di Gesù, venuta dal monastero di Milano con un gruppo di monache, tra le quali Suor Maria di Gesù al secolo, e Suor Maria Paternò Castello. Raccontiamo qualcosa del pittore Remo Brindisi, che fu uno dei maggiori artisti italiani del secolo scorso. Nasce a Roma nel 1918, dopo aver frequentato diverse scuole d'arte nel centro Italia, nell'ultima guerra, dove si lega a Carlo Cardazzo, esponendo nella sua celebre galleria il Cavallino. Negli anni 40 e 50 partecipò alle biennali veneziani e alle quadriennali romane, utilizzando caratteri espressionistici nell'ambito della nuova figurazione, con tendenze vicine allo stile informale. Trasferitosi poi a Milano nel 1947, dove Cardazzo ha aperto la galleria Il Naviglio, e si avvicina a gruppi di artisti d'orientamento, prima neocubista, poi realista, che poi abbandona nel 1955. Propone temi di contenuto socio-politico, fra cui il ciclo Storie del fascismo, mentre sviluppa una vasta produzione con soggetti ricorrenti quali pastorelli, venezie, maternità, oppositori. Presidente della Triennale di Milano nel 1973 e docente e direttore dell'Accademia delle Belle Arti di Macerata. Riceve la medaglia d'oro della pubblica istruzione per meriti culturali. La sua passione per l'arte lo porta a realizzare nel 1971 Aledo di Spina, Comacchio, Ferrara. L'originale Casa Museo su progetto dell'artista e designer Nanda Vigo, intestato a suo nome, in cui raccoglie le opere dei maggiori artisti contemporanei. Qui muore nel 1996. Chi vi sta raccontando questa storia ha fatto per sette anni il caritetto proprio in quella chiesa. Domenica, tre messe, la prima, la seconda e la terza, e le ho fatte tutte e tante. Ho visto iniziare quest'opera e l'ho vista anche a finire. A me, personalmente, è dispiaciuto. Per me poteva rimanere. Oggi sarebbe stata un'opera eccezionale vista oggi. Peccato non è stata ben capita a quel tempo. Questo è un mio parere da incompetente. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org