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The transcription discusses a poetry and narrative prize called the Giovanni D'Alegnano prize, which is awarded to middle school students in Legnano, Parabiago, Castanoprimo, Bustasiccio, Castellanza, and Magenta. The speaker questions the existence of the future and criticizes the older generation for their negative outlook. They express their uncertainty about their own future and the meaning of having a good foundation. The speaker concludes by emphasizing the importance of enjoying the present and appreciating what they have. The second part of the transcription discusses a father who becomes more present in his child's life due to reduced working hours caused by the economic crisis. The father learns to slow down and enjoy life, teaching his child to appreciate the simple things. Prendo spunto dà il premio di poesia e narrativa Giovanni D'Alegnano, un premio ai studenti delle scuole medie dei distretti di Legnano, Parabiago, Castanoprimo, Bustasiccio, Castellanza e Magenta. Siamo alla diciannovesima edizione, quella del 2014 ed è promossa dalla famiglia legnese. 226 sono i partecipanti per un totale di 247 componimenti. Il primo premio di poesia e narrativa Giovanni D'Alegnano, la sezione A, il primo premio, non c'è il titolo, ma è un richiamo al futuro. Egregio Signor Futuro lo scrivo in primo luogo per verificare la sua esistenza. Si starà certo chiedendo com'è possibile scrivere a un Signore inesistente. Chiarirò con un semplice esempio. Pensi a tutte quelle belle lettere inviate a quel distinto e gentile donnino che riceve milioni di richieste ogni anno dai bambini di tutto il mondo, o almeno di quello occidentale. Non voglio assolutamente accusarla di un grave reato quale il non essere. Mai me ne voglia il caro Parmenide. Semplicemente lei sembra presentare caratteristiche mitiche e irraggiungibili. Le voci su di lei sono molte e confuse. Il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta. Cita un certo Paul Valéry. La figura del vecchio e avaro Signor Scrooge nel celebre Christmas Carol sembra ricarcare perfettamente l'idea che danno di lei. Parlano di spread, crisi, guerre, riscaldamento globale. Dicono che peggiorerà, eppure non perdono mai l'occasione di dire che noi giovani siamo il futuro e dobbiamo avere speranza. Ammettendo anche che le tristi previsioni sul suo conto siano errate, come posso fidarmi del Signor Scrooge, il vecchio avaro, antagonista per Antonomasia? Qualcuno, cinico e inaccidito, spacciandosi per realista, invece arriva ad affermare radicalmente che non ci sarà un futuro. Ho sempre amato l'ottimismo, però, con tutto il rispetto, come posso non avere un futuro se io sono il futuro? Poi mi chiedono, cosa farai da grande? Costruisci ora il tuo futuro, o ancora peggio, se non studi non avrai un futuro. Sono così costretto a inventare un buco di pandonie riguardo a quanto mi piacerebbe andare sulla luna, scoprire una nuova America o avere una famiglia con dieci figli, quando l'unica cosa che mi sentirei di urlare è un tonante, non lo so! Quindi, per ora, l'unica cosa certa è che lei è incerto. Ma, siccome dicono quei fantomatici essere chiamati volgarmente adulti, non siamo il futuro? Tenterò di fare un passo indietro, cercherò di conoscerla un po' meglio, è mia convenienza fare buon viso a cattivo gioco. Tuttavia, anche lei dovrebbe fare un passo verso quelli che saranno. Il mio umile consiglio è innanzitutto quello di cambiare i suoi portavoci. Sinceramente, mi risulta piuttosto comico sentire parlare di futuro d'arzilli ultrasettantenni in giacca e cravatta, che io vedrei forse meglio in pantofole vestaglia, e che sorridono gioviali a un paese che stento anche a definire tale. La rendono antipatico agli occhi di giovani, tipi pratici che non hanno bisogno di essere abbindolati da azzigogolati giri di parole. Certo, l'esperienza è sicuramente importante e senza dubbio si impara dagli errori. Mi appello perciò al mio sacrosanto diritto di sbagliare, cadere, farmi male, e in realtà mi accorgo prima di essere medicato le ginocchia sbucciate, tanto non è niente. È importante avere buone basi, dicono, ma questo io non l'ho mai capito, farò perciò appello anche al mio diritto di fare domande. Spiego meglio i miei dubbi. Cos'è una buona base? Soldi? Persone? Conoscenze? Certezze? Sicurezze? Autostima? Capacità? Tutto ciò? Che senso ha una buona base se non so neanche per cosa? Che senso ha avere capacità, sicurezza, autostima, se quando non sei ricambiata per il ragazzo che ti piace, crollano tutte e tre come case di cristallo? Che senso ha poi studiare quando a qualcuno le conoscenze vengono regalate? Per caso lei, signor futuro, sa dirmi se la voglia, la capacità, il merito, la lotta e un pizzico di esperienza possono portare a qualcosa? Ma soprattutto cos'è quel qualcosa? È lei o sono io? Ovviamente non pretendo risposte, rispondere è cortesia, vuole solo capirla e capirmi meglio. È una bella pretesa, me ne rendo conto, ma io non mi accontento. Ho obiettivi e sogni, soprattutto sogni. Dicono di lei che è anche un misto di cadute e speranze. Questo io voglio credere, in fondo sono una ragazza positiva. Credo alle storie, alle tue fine, alle fiabe, alla principessa che non sta con le mani in mano ad aspettare il principe, ma se lo va a prendere per crearsi il proprio. Vissero per sempre felice e contenti, come se la bella addormentata avesse messo la sveglia alle sette meno dieci, si fosse tirata giù dal letto con un litro di caffè e fosse uscita alla ricerca della sua dolce metà. Ho sempre trovato buffo e curioso il fatto che i plurali di principe e principio siano scritti allo stesso modo, quasi come se i principi ideali ti nobilitassero. Forse è questa la base di cui mi parlano. Un principe, ho tanti principi da difendere. Mi piace l'idea. Letto e registrato in questa chiave, mio caro signor futuro, lei inizia a essermi più simpatico. Ho deciso, ti do del tu. Dopodotto, sei il mio futuro, non posso fermarmi a certi inutili con le nevoli. Ti ringrazio molto per l'attenzione, spero farai rispondermi. Tua, Re. Emanuela Re Cecconi. In quei tempi di crisi, il lavoro prima di tutto. Quante volte mio padre mi ha ripetuto o forse lo diceva soprattutto a se stesso questa frase. Era diventato un suo diktat, una delle sue uniche ragioni di vita. Certo, tutto quel lavoro serviva per garantirci un futuro migliore. Ci permetteva la macchina dell'ultimo modello, le vacanze nei villaggi, ma io in tutto questo ho sempre sentito la mancanza di mio padre. Anche quando eravamo insieme, lui pensava al lavoro. Già, alla domenica mattina si organizzava la settimana attiva. Tutto ruotava intorno ai suoi obiettivi e il suo umore seguiva l'andamento delle sue vendite. Fino a quando la sua azienda non ha cominciato a fare i conti con l'andamento del mercato e così hanno cominciato a ridurre le ore di lavoro. Casa integrazione. Io non conoscevo nemmeno il significato di questa condizione, però doveva essere una cosa brutta e preoccupante a giudicare dall'espressione del volto di mio padre. Ho visto mio padre impegnato a rivedere il bilancio familiare. Prima in predalansia, poi con pazienza e determinazione ha scoperto che in effetti di spese da poter tagliare non ce ne erano tante. Ha cominciato ad accompagnarci a scuola a piedi. A me piaceva così tanto andare a scuola a piedi. Avevamo modo di guardarci intorno e ogni giorno ci sembrava di scoprire qualcosa di nuovo del nostro quartiere. Qualcosa che era lì da sempre, ma noi nella nostra fretta di arrivare, sempre da qualche parte, avevamo sempre ignorato. Una volta era un grosso albero, un'altra ancora la nonnina col barboncino e non saprei dire se fosse più bianco il barboncino o la vecchina. E la spesa? Poi era diventato uno spasso alla ricerca dell'offerta del momento, era quasi un gioco e una sfida continua. Mio padre non ha mai avuto tutto questo tempo per me, per noi, non ha mai avuto nemmeno tempo per se stesso, gli ho sentito dire, ammettere ultimamente. E invece in questo periodo di tempo ne aveva. All'inizio ne era un po' disorientato, spaventato, ma poi ha cominciato a godere di questa sua nuova condizione. Pensava di saper solo lavorare ed invece di cose ne sapeva fare tantissime. Fortunatamente lui il lavoro ce l'ha ancora, certo ma con una riduzione del 20%, ma questo gli permetteva di avere tempo. Questo tempo libero lo ha fatto riflettere, gli ha fatto capire che forse era il caso di rallentare un attimo, di respirare profondamente e assaporare la vita. Lo so che la crisi economica è una cosa seria, grave, ma a noi ha insegnato a godere delle cose che abbiamo e a non desiderare sempre e a tutti i costi l'impossibile. Ci ha fatto assaporare i momenti insieme, rispolverare i libri nella libreria, ha insegnato a sognare e murare con la fantasia, senza per forza dover spendere del denaro. Camilla Lenzini Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org