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The role of pharmacies has changed over time due to the pharmaceutical industry and excessive use of medication. The current regional health plan aims to give doctors and pharmacists a more prominent role in patient care. There has also been a shift towards natural or alternative medicines. The traditional image of a pharmacist with a black lab coat and a bustling pharmacy has been replaced by a more sterile and business-like environment. However, the history of pharmacies includes a rich tradition of herbal medicines and unique tools and containers. The role of the pharmacist has evolved from a compounder of medicines to a dispenser and advisor. The pharmacy has become more focused on commercial interests rather than the well-being of patients. www.reggijoe.it E la storia continua Le farmacie di un tempo avevano un ruolo centrale nella cura delle persone perché preparavano esse stesse al proprio interno e con ingredienti tratti dalla natura, molti dei medicinali che servivano a risolvere o alleviare i problemi di salute. L'industria farmaceutica e il ricorso eccessivo da parte dei cittadini, spesso non guidato dai medici, ha snaturato l'antico ruolo delle farmacie, dei farmacisti e degli stessi farmaci. Le indicazioni date nel presente Piano Sociosanitario Regionale, quelle del 2002-2004, sono orientate a riassegnare ai medici e ai farmacisti ruoli da protagonisti nella cura delle persone. Anche verso i farmaci si è adottato un atteggiamento diverso da quello comunemente in uso. I farmaci provenienti dalle industrie chimiche e farmaceutiche si è offerta e affiancata la possibilità di conoscere e assumere farmaci di origine naturale o alternativa a quella della farmacopeia tradizionale. Tanti anni fa il farmacista indossava un camice nero e si sporcava le mani, oggi è un camice bianco misurato al ginocchio, alle mani pulite perché non maneggia più utensili e sostanze da laboratorio. Tanti anni fa il farmacista aveva un'attrezzata ufficina farmaceutica, si chiamava così. Scaffari e scansì erano gremiti, stivate da bocce di vetro, albarelle decorate, ampolle, scatole di legno per le erbe, cortecce, semi e radici. Sulle rastriniere bevute, storte, imbuti, matracci. In un angolo c'era l'arambicco di rame a cupola come una moschia e poi, allineati in un'artistica mostra, decine di vasi per gli unguenti, gli malattie e cure di un tempo, oli, i sciroppi e gli intrugli dell'universale Terriaca e del suo compagno Mitriade, carichi di oppio che calmava il dolore e faceva gridare al miracolo. I vasi, prestigio della farmacia al pari dei farmaci, inventati e preparati dal farmacista, erano di terracotta in vetriata policroma, con il cartiglio che indicava il contenuto, incorniciato dai simboli, figure e volute di vegetali e questi vasi ora sono vuoti, ambiti ricercati da amatori del bello e d'antiquari e poi nei cassetti in laboratorio c'erano spatole, forme per ovuli, supposte pillole, oggetti di artigianale fattura con un segno d'arte tale da ben figurare oggi in un salotto di riguardo e poi cumuli di tappe di sughero, di vero sughero della barbagia, di tutte le misure, anche minime, per sigillare la evanescente boccettina con le gocce di biancospino e valeriana, per gli instabili umori della gioia di signora. C'era anche la grande damigiana di vetro, verde foresta, dove invecchiava il barolo chinato, capolavoro del farmacista. C'era il torchio per l'olio di mandorle, mandorle dolci che doveva essere sempre di recente spremitura, c'era il mortaio di bronzo, grande come la campana e poi bilance e bilancini per usare veleni e droghe, quelle droghe che ora è più facile trovare tra le mani dei giovani che nell'armadietto di farmacia. Ora nel banco c'è un registratore di cassa, bello e lustro come una fuoriseria. Una volta nascosta in un cassetto sottobanco c'era la ciotola di legno di bolso per il guadagno della giornata e alzate le ante di legno a sera e chiude la farmacia si faceva la coppa, si contavano le monete spicce che valevano, ora si fa la mazzetta di carta moneta svalutata come un convalescente da grave malattia. E nel retro della farmacia indiscreta a penombra c'era il salottino con le poltroncine di velluto un po' smunto, era per gli amici, si poteva fumare un mezzo toscano che portavano la notizia della piazza. Bevevano il bicchiarino di Barolo Chinato per dare voce e credito alle parole, come accadeva nel retro delle farmacie durante la rivoluzione francese e il risorgimento italiano. Sono passati tanti anni da quando le medicine si inventavano e facevano in farmacia e pochi ricordano la figura tipica del pisturro, come un campanaro a rovescio, il mortaio era la campana rovesciata, il pesante pestello fra le mani pestava, frangeva, polverizzava erbe, semi, cortecce, frutti e la farmacia odorava di mercato orientale. I vecchi della valle del Gran San Bernardo ricordano forse il pisturre valdostano blanc che nei primi anni del Novecento e anche dopo con fantasia e azzardo suggeriva tisane infusi, lecotti e cristeri e le erbe si diceva non avevano segreti per lui. Ma non c'è più neppure il medico condotto di una volta, quello con barba e baffi era Massimo D'Azeglio che con vento, pioggia, sole e neve andava alle visite con una valigetta di cuoio a soffietto, come il mantice della carrozza a cavalli, anch'essa scomparsa. I cavalli sono in regime di sopravvivenza e per salvarli li hanno fidati ai carabinieri a cavallo. Nei tempi antichi la farmacia non era chimica, era botanica, nel senso che la gente la trovava nelle foreste, nei boschi, nei campi, negli orti di casa, nel cortile, nelle acque, nelle stalle e le medicine belle e pronte per curare, non sempre per guarire le malattie. Nell'archivio storico regionale è conservato un ampio strato in lingua e scrittura francese del settecento di un'opera del naturalista senese Piero Andrea Mattioli, 1500-1577, e divenne famosa come la Bibbia. Si tratta di un ricettario medico di erbe, piante e semi, i vasi di farmacia dovevano contenere sugna di anitra, di oca, di cappone, di gallina, acqua di lumache, carne di cinghiale, di leone, di lepre, di volpe, polvere di cantaridi, castoreo, varie specie di corna, fiele, osso male, sangue di becco, di porco, tela di ragno, unghie di animali e, colmo della charlataneria e dell'inganno, latte di fanciulla vergine. Ti si curava con queste schifezze, ma per la salute si beveva anche distillato di urina umana e raschiatura di cranio di uomo vivo, cioè deceduto, non per malattia ma per morte violenta. Il 1500 passò all'insegna di questa farmacopea sotto la protezione dei santi fratelli medici Cosma e Damiano e ogni malato che guariva era da considerare un miracolo. Per farla breve, ad arrivare al capitolo annunziato dirò che dopo il 1500 e sino ai nostri giorni la farmacia divenne veramente chimica e si giovò non solo di sostanze vegetali ma anche minerarie e soprattutto di sintesi di laboratorio. Comparvero via via le medicine che riconosce le farmacie, sorsero le grandi industrie che fecele perdere sempre più al farmacista la caratteristica scientifica di malattie e cure di un tempo, chimico del farmaco, per passare a quella di consigliere terapeutico e di distributore di medicine, responsabile civilmente e penalmente del suo operato. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org

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