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PODCAST N.70 SIAMO CORRETT*?

PODCAST N.70 SIAMO CORRETT*?

Evaristo TisciEvaristo Tisci

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...è un bel gioco di equilibrio su un filo sottilissimo...

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The politically correct movement has influenced the Italian language, prompting the introduction of feminine forms for traditionally male professions. Some have even used asterisks to avoid gender-specific terms. While some embrace these changes, others see them as forced. The balance between innovation and tradition is delicate, with some advocating for the removal of biased words and others clinging to outdated terms. Adjectives have also been affected, with "grasso" being replaced by "sovrappeso." However, some argue that these changes limit freedom of expression and take time to adapt to. Balancing inclusivity and tradition is a complex and evolving task. Adopting a more respectful language can promote social awareness, but it requires ongoing dialogue and reflection on how words influence our perception of the world. A touch of irony can also be helpful. Se negli ultimi anni il politicamente corretto ha fatto il suo ingresso trionfale anche nella lingua italiana, negli ultimi giorni il contro-revisionismo linguistico stava invece per fare ingresso nelle aule del Parlamento italiano, al fine di proporre multe elevatissime a chi avesse utilizzato alcuni termini di cariche e professioni reclinate al femminile. Nato negli Stati Uniti negli anni 80 e 90 con l'obiettivo di combattere discriminazioni di ogni sorta, il politicamente corretto ha da allora influenzato vari aspetti della nostra vita, inclusa la comunicazione. E così abbiamo iniziato a rivedere il nostro vocabolario, cercando di renderlo più inclusivo e rispettoso. La nostra amata lingua, ricca di storie e tradizione, si è trovata a dover affrontare un vero e proprio rinnovamento. L'uso del genere maschile come forma generica è finito sotto i riflettori, portando alla nascita di varianti femminili per professioni storicamente maschili. Così avvocato è diventato avvocata e sindaco si è trasformato in sindaca. Non paghi, e con buona pace dei vocabolari, c'è anche chi ha introdotto l'uso dell'asterisco, per evitare il genere specifico. Ciao a tutt'! E mentre alcuni accolgono con entusiasmo questi cambiamenti, altri li vedono come un tentativo un po' forzato di stravolgere la lingua. Le istituzioni linguistiche come l'Accademia della Crusca cercano disperatamente di mantenere l'equilibrio tra innovazione e tradizione. Insomma, è un bel gioco di equilibrio su un filo sottilissimo. Poi ci sono gli eccessi, sempre dietro l'angolo pronti a fare capolino. Da un lato c'è chi vorrebbe eliminare ogni parola sospettata di parzialità. Dall'altro chi si aggrappa a termini obsoleti, come un naufrago alla sua zattera. E così ci ritroviamo a dibattere se quest'ora sia una legittima evoluzione al femminile di quest'ore o l'indicazione di un orario specifico. Ma non è finita qui. Anche gli aggettivi sono entrati nel merino del politicamente corretto. Grasso è diventato sovrappeso o con un eccesso di peso e handicappato è stato rimpiazzato da persona con disabilità. Fin qui tutto bene, ma in alcuni casi si rasenta l'assurdo. Prendiamo ad esempio la frase «Purtroppo lui è vecchio e malato e l'essere povero gli impedisce di curare la sua malattia». Tradotta in termini politicamente corretti, suona così. «Purtroppo lui è diversamente giovane e con una salute psicofisica compromessa e la sua condizione socioeconomicamente svantaggiata gli impedisce di accedere alle cure necessarie». Se non altro ci stiamo esercitando nella ginnastica linguistica. E poi ci sono le identità culturali, anche esse rivisitate. Zingaro è diventato Rom o Sinti ed Elchimese ha lasciato il posto a Inuit. Il tutto per evitare termini connotati storicamente in modo negativo. Le intenzioni sono buone, ma a volte ci sembra di camminare su un campo minato, dove ogni parola può esplodere in una polemica. Evito di avventurarmi nelle paludi dei dialetti, non ne uscirei vivo, ma sento il dovere di fare un piccolo accenno sul mio, il romanesco. In questo dialetto si usano spesso espressioni e dei modi di dire che sulla carta sono delle vere e proprie offese o addirittura insulti, ma nella cosiddetta lingua parlata hanno ben altre intenzioni e risultano addirittura affettuose. L'esempio più classico è il salutare un vecchio amico che magari non si vede da tanto tempo, abbracciandolo calorosamente e al tempo stesso nominando i suoi amati antenati estinti, aggiungendo poi «quanto te voglio bene». Tornando in tema, abbiamo detto che le ragioni dietro queste modifiche sono nobili, ossia promuovere il rispetto e la sensibilità sociale. Un linguaggio più riguardoso può aiutare a ridurre le discriminazioni e a creare un ambiente più inclusivo. Tuttavia non mancano le critiche. Alcuni temono che questi cambiamenti possano limitare la libertà di espressione e portare a una sorta di censura linguistica. Altri fanno notare che cambiare le abitudini linguistiche non è facile e richiede tempo. E mentre ci arrampichiamo sugli specchi del politicamente corretto, ci troviamo di fronte a situazioni quasi surreali, come quando ad esempio si parlava di cani volendone adottare uno e abbiamo avuto il dubbio se declinare la parola al singolare maschile «cane» o femminile «cagna» per non dare per scontato il suo genere. Poi però ci siamo accorti che il termine al femminile poteva sembrare offensivo, così si è deciso di prendere un felino, gatto o gatta che fosse. Possiamo quindi dire che bilanciare inclusività e tradizione è un compito complesso e in continua evoluzione. Adottare un linguaggio più rispettoso può favorire una maggiore consapevolezza sociale e un ambiente più equo, ma richiede un dialogo continuo e una riflessione attenta su come le parole influenzano la nostra percezione del mondo e magari ogni tanto una buona dose di ironia per non prenderci troppo sul serio sarebbe utile. Sono Evaristo Tisci e questo è il mio podcast che si chiama Perché... ma forse lo cambio.

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