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This is a transcription of a talk discussing the significance of wine in the Eucharist and its connection to the eschatological banquet. It explores the biblical references to wine as a symbol of joy and the love of the Lord. The speaker emphasizes that through the Eucharistic meal, we can experience a taste of the eternal joy that awaits us in the future. The talk also touches on the idea of the wine representing the Lord's love and the invitation to turn our focus towards heavenly desires rather than earthly ones. The speaker references the thirst of Jesus on the cross and how it represents his desire for our love and acceptance. Overall, the talk highlights the symbolism and spiritual significance of wine in the context of the Eucharist. Buonasera a tutti o buongiorno a chi ci segue dall'altra parte. Stiamo presentando l'Eucaristia come cibo, cibo di vita eterna e allora stiamo presentando i significati, i vari valori che il vino presenta e continuiamo quindi questa nostra riflessione anche in questa catechesi. In particolare iniziamo questa catechesi parlando del vino che richiama, che significa e che rimanda al banchetto escatologico. Escatologico è una parola proprio anche della nostra fede cristiana e intendiamo riferirci agli ultimi tempi, a quando il Signore Gesù ritornerà come lui ha promesso sulle nubi del cielo per consegnare l'umanità e tutto l'universo a Dio nostro Padre. E dunque quella realtà espressa, quel ritorno del Signore, quella venuta del Signore sulle nubi del cielo è espressa attraverso anche il termine escatologia che significa ultime realtà, tutto quello che riguarda le ultime cose che devono avvenire. Siamo anche nel tempo di novembre, a metà novembre, dedicata secondo la tradizione cristiana ai nostri defunti e quindi anche al pensiero da parte nostra nei confronti della morte, e quindi anche questo argomento e questo richiamo del vino viene anche a buon proposito. Il vino buono anticipa nei giorni dell'uomo la festa senza tramonto, che appunto il Signore ci riserva alla fine dei tempi. In Isaia, nel libro del profeta Isaia dell'Antico Testamento, il vino rappresenta la gioia del banchetto escatologico, che è caratterizzato da un vino eccellente. Infatti Isaia al capitolo 25 afferma, preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli su questo monte un banchetto di gratte vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Quindi ecco utilizza, e frequentemente la Bibbia utilizza, un linguaggio antropomorfico, un linguaggio che prende dal nostro mondo, dal mondo degli uomini, dal mondo degli alimenti, dal mondo dell'universo, dal mondo del creato, per esprimere realtà che superano di gran lunga la nostra situazione e la situazione di questo mondo. Quindi queste immagini indicano qualcosa, anche se non pretendono di esaurire il mistero infinito, profondo, che le realtà di Dio nascondono. Nascondono e rivelano nello stesso tempo. Dio utilizza immagini, anche attraverso la Bibbia, utilizza immagini, parole e avvenimenti che trae da questo mondo umano per aiutarci a capire qualcosa del mondo divino, senza però pretendere di, da parte nostra, di esaurire completamente, con la nostra piccola mente, l'infinito oceano, l'infinito cielo, che appunto è il mistero di Dio. E comunque vedete che sono immagini anche molto appetitose e che ci aiutano anche a renderci conto che il Signore prepara per i Suoi questa gioia, questa felicità che esprime attraverso il banchetto. Il banchetto dove sono preparati dei cibi succulenti, tra cui anche le bevande, come bevanda un vino eccellente. Benedetto XVI scrive, il banchetto eucaristico è per noi reale anticipazione del banchetto finale, preannunziato dai profeti, e qui richiama il testo di Isaia, ed è scritto nel Nuovo Testamento come le nozze dell'agnello, l'Apocalisse, da celebrarsi nella gioia della comunione dei Santi. Così appunto scrive in questa enciclica Sacramentum Caritatis al numero 31. È il banchetto eucaristico che appunto è una reale anticipazione. Qui utilizza proprio anche il termine anticipazione. Non è solo un segno che prefigura, ma è anche un vero e proprio anticipo, il che significa che attraverso il banchetto eucaristico noi abbiamo a gustare già, seppure in minima parte, seppure in una piccola parte, abbiamo a gustare quelle che sono e saranno le realtà che ci auguriamo di poter condividere appieno alla fine della nostra vita, al momento della nostra morte. Altro significato appunto del vino è il calice dell'amore del Signore. E qui appunto mi rifaccio una bella testimonianza di questo Vescovo San Pulgenzio di Ruspe, vissuto alcuni secoli fa, che scrive «tutti i fedeli che amano Dio il prossimo, anche se non bevono il calice della passione corporale, bevono tuttavia il calice dell'amore del Signore». Che cos'è questo calice della passione corporale? Beh, è la sofferenza e il martirio. Il Signore forse ci risparmia di questo tipo di condivisione della sua sofferenza, della sua morte, e nello stesso tempo però ci offre la possibilità di poter gustare un po' di questo calice dell'amore del Signore, attraverso appunto il vino, che diventa qui segno concreto dell'infinito amore che il Signore ha verso ciascuno di noi, dando se stesso, offrendo la sua vita e donando anche fino all'ultima goccia del suo sangue versato per noi e per tutti. «Inebriati da esso», scrive sempre San Fulgenzio di Ruspe, «mortificano le loro membra, e avendo rivestito il Signore Gesù Cristo non si danno pensiero dei desideri della carne». Dunque, ecco, partendo proprio da questa condivisione dell'infinito amore di Dio, ecco che viene a noi la sollecitudine di non accondiscendere ai pensieri, ai desideri della carne, al peccato, avendo rivestito il Signore Gesù Cristo. Qui c'è un richiamo al rivestimento di quella veste bianca che ci viene donata nel giorno del nostro Battesimo e con la quale veniamo rivestiti di Cristo e sta a indicare questa veste bianca la nuova dignità, la dignità dell'essere figlio di Dio, purificato dal peccato, e quindi ecco il candore della veste bianca, purificati dal peccato originale, ci rivestiamo della purezza e della santità di Cristo Signore, e della sua fratellanza e della figliolanza di Dio Padre. E poi aggiunge ancora questo Vescovo Santo e non fissano lo sguardo sulle cose che si vedono, ma su quelle che non si vedono. Anche questo è un bell'invito appunto a non lasciarci troppo a vincere dalle cose di questo mondo, ma come anche accennavo all'inizio il mese di novembre, è un invito appunto a guardare di più al cielo pensando alle cose di lassù. Certo sappiamo bene che i nostri piedi sono fissati per terra, camminiamo con i piedi per terra, sì, però abbiamo anche un volto che non necessariamente deve essere sempre rivolto verso terra, ma è un volto che guarda in avanti e che guarda verso l'alto. Anche questo è un linguaggio antropomorfico, un linguaggio appunto che utilizziamo per farci capire che non dobbiamo lasciarci affascinare dai desideri di questo mondo, ma essere invece presi e lasciarci prendere maggiormente dai desideri del cielo. Così chi beve al calice del Signore custodisce la santa carità senza la quale nulla giova, neppure il dare il proprio corpo alle fiamme. Qui c'è un richiamo naturalmente alla lettera di San Paolo, all'ino della carità. Per il dono della carità poi ci viene dato di essere veramente quello che misticamente celebriamo in modo sacramentale nel sacrificio, e cioè noi partecipando al sacrificio eucharistico e bevendo al calice dell'amore del Signore, noi appunto siamo impegnati poi a condividere questa dimensione di amore, di carità con quanti incontriamo durante la nostra giornata. C'è un altro aspetto che vale la pena evidenziare riguardo appunto al vino, e cioè il rapporto fra vino e sete. Nel Vangelo solo due volte è detto che Gesù ha sete, la prima volta con la Samaritana e poi la seconda volta sulla Croce. E dalla Croce continua a dire ho sete, rivolgendosi a ciascuno di noi perché Lui ha sete di ognuno di noi, ha sete della nostra intelligenza, della nostra dedizione, del nostro affidarci a Lui, ha sete del nostro amore, ha sete di tutta la nostra vita. Quindi non si tratta tanto e semplicemente di una sete fisica, materiale, ma è la sete appunto che Lui ha della nostra accoglienza nei Suoi confronti, della nostra risposta positiva alla proposta che Lui ci fa, e cioè la risposta del eccomi, mi affido a te, mi fido di te o Signore, ti amo, ti voglio amare sopra ogni cosa. Cristo ci dice come indica a Madre Teresa, confronta la preghiera di Madre Teresa che ha voluto che accanto al crocifisto, posto dietro l'altare di ogni cappella delle case delle sue suore, ci sia scritto, I thirst, ho sete. Cristo ci dice, come indica a Madre Teresa, conosco il tuo cuore, la tua solitudine, il tuo dolore, le reazioni, i giudizi e le umiliazioni. Gesù ha sperimentato tutto questo, e quindi può veramente dire che conosce questa nostra situazione. Io ho sopportato tutto questo, ci dice Gesù, prima di te. Ho portato su di me tutto questo per te, affinché tu possa dividere anche la mia potenza e vittoria. Conosco specialmente il tuo bisogno di amore e di bere alla fonte dell'amore e della consolazione. Vedete quanto è bella anche questa preghiera di Madre Teresa. Conosco specialmente il tuo bisogno di amore e di bere alla fonte dell'amore e della consolazione. Quante volte la tua sete è stata vana, perché abbiamo cercato di addeverarci ad altre fonti, ad esempio, dissetandoti in modo egoistico, riempiendo la tua sete di piaceri illusori, cioè la vacuità ancora più grande del peccato. Hai sete di amore? E chi non ce l'ha questa sete di amore? Direi che è insito nel cuore di ogni persona. Sant'Agostino ha quella bellissima anche espressione che tutti noi ben conosciamo. Signore, il mio cuore è inquieto finché non ripose in Te. È inquieto di che? Perché va cercando sempre nuovo amore. Tu, Signore, hai posto dentro di noi una sete di infinito, una nostalgia di Te, ed è per quello che dunque anche siamo sempre insoddisfatti di fronte alle cose di questo mondo. Perché il nostro cuore è fatto per Dio e da Dio, e quindi non può essere riempito dalle cose di questo mondo, e neanche poi dalle persone di questo mondo. Ma è solo Dio, avendoci creati tutti a Sua immagine e somiglianza, ha messo dentro di noi questa capacità di anelare e di attendere e di sospirare, appunto, questa fame, questa sete di infinito, di amore, che appunto è Dio stesso. Hai sete di amore? Ci chiede il Signore. Venite a me, o voi assetati. Venite a me, o voi assetati. E aggiunge ancora Madre Teresa, io vi darò da bere fino a pienezza. Hai sete di essere amato? Ti amo più di quanto puoi immaginare, al punto di morire in croce per te. Ho sete, ci dice il Signore Gesù. Ho sete del tuo amore. Sì, questo è il solo modo di dirti il mio amore. Ho sete di te. È il solo modo di dirti il mio amore. Ho sete di te. Ho sete di amarti e di essere amato. È sempre il Signore che ci parla in questo senso. Ho sete di amarti e di essere amato, per dimostrarti quanto sei prezioso per me, quanto siamo ciascuno di noi preziosi al Signore e per il Signore. Certo, vedete come qui l'attenzione è spostata tutto sul Signore. Noi pensiamo di essere noi i primi ad amarlo e a muovere i primi passi verso di Lui, e invece è Lui che per primo ci ama, ci viene incontro, ci previene nel nostro essere, nel nostro agire, nel nostro amare, nel nostro pensare. Ecco, se fossimo un po' più coscienti di tutto questo, riusciremmo anche a rispondere anche con maggiore gioia e con maggior totalità al Signore. Ho sete di te. Non dubitare mai della mia grazia, del mio desiderio di perdonarti, di benedirti e di vivere la mia vita in te. Ho sete di te. È sempre questa bella preghiera di Madre Caresa di Calcutta. Ho sete di te, ci dice il Signore. Aprimi, vieni a me, sia setato di me, offrimi la tua vita e io ti dimostrerò quanto conti per il mio cuore, quanto sei prezioso, quanto vali per il mio cuore. Mi sembra proprio anche una bella preghiera, che se fossimo capaci un po' di ripeterla e di farla nostra, beh, anche frequentemente ci aiuterebbe molto anche nella nostra vita quotidiana. Gesù Cristo, Figlio di Dio, ha sete della nostra sete. San Gregorio di Nazianzio, anche lui ritorna su questa realtà, su questa verità. Ha desiderio del nostro desiderio. Ha bisogno di noi. Ha sete di fratelli. Dio ha sete della mia anima, del mio cuore. Anche la mia anima ha sete di Dio. È inquieta finché non riposa in te? E indirizziamo questa nostra ricerca verso il Signore, più che verso il basso, verso le realtà di questo mondo? Dio ha posto nel mio cuore questa sete infinita di Lui, creandomi a Sua immagine, e soprattutto facendomi Suo figlio adottivo col Battesimo. Già più volte questo l'abbiamo evidenziato, che ogni persona di questo mondo, ogni essere umano, è creato a immagine e somiglianza di Dio. Ma per essere Figlio di Dio occorre il Battesimo. Per questo il Signore Gesù è venuto. Se dovessimo dire che non è necessario il Battesimo, c'è anche allora da capire il perché Gesù Cristo è venuto e perché ha istituito il Battesimo, con il quale ci offre l'opportunità e la possibilità di diventare Figli di Dio. E dunque ecco, Dio ha posto nel nostro cuore questa sete infinita di Lui, sia già a livello dell'essere immagine di Dio, ma soprattutto a livello dell'essere Figli di Dio. Non siamo più schiavi, non siamo più ospiti, non siamo più stranieri, siamo Figli di Dio mediante la fede e mediante il Battesimo. E di questo dovremmo essere sempre riconoscenti al Signore, anche con quella bella preghiera popolare che abbiamo anche imparato sulle ginocchia dei nostri geritori. Ti ringrazio, mio Dio, della buona e santa giornata o buonanotte e di avermi fatto cristiano, sì, di avermi fatto cristiano, fatto Figlio di Dio. E poi, per tanti di voi, ringraziamolo, ringraziatelo anche per il sacramento del matrimonio, come per me, sacerdote, il ringraziare il Signore per il sacramento dell'ordine. Sono tutti grandi, grandi, grandi doni che il Signore ci ha elargito e ci elargisce. San Colombano, che è morto nel 615, scrive, Beata l'anima traffitta dalla carità, essa cercherà la sorgente, ne berrà, berrà a questa sorgente, che è la sorgente, appunto, della carità di Dio, dell'amore di Dio. Siamo sempre esplicitando questo legame del vino con la sete. Bevendone ne avrà sempre sete. C'è da pensare qui che più ne vediamo, più attingiamo a questa sorgente, che è la sorgente dell'amore di Dio, e più anche aumenta la nostra capacità e quindi anche la nostra sete di amore. Perché ha questo potere, questo amore di Dio, non solo di riempire la nostra sete e di dissetarci, ma mentre ci disseta anche ci amplia, amplia la nostra capacità, la nostra possibilità, e quindi ci fa sentire ancor di più il desiderio di bere ancora, e di bere e di attingere sempre più acqua da Lui, è l'acqua del suo amore, è il vino del suo amore. E poi aggiunge, dissetandosi brammerà con ardore colui di cui ha sempre sete, pur bevendone continuamente. Qui c'è proprio, appunto, anche evidenziato una dimensione dinamica della nostra fede, e cioè che non possiamo vivere di rendita, non possiamo certo accontentarci semplicemente degli obiettivi raggiunti, dei livelli di fede raggiunti. Se quell'obiettivo e se quel livello autentico naturalmente creerà in noi una nuova sete, e dunque un bisogno di andare, di accedere e di dissetarci ancor di più al Signore Gesù, alla Sua fonte, che è una fonte inesauribile, che non si esaurisce mai, e anche questo è stupendo. Quindi mi viene in mente un po' quella bella immagine che San Giovanni XXIII utilizzava per indicare un po' la vita di un paese, di una parrocchia, e quando, cioè non c'era nelle case ancora la possibilità dell'acqua diretta in ogni casa, c'era però l'unica fontana al centro del paese, una fontana alla quale tutti potevano e possono attingere, ognuno però con un recipiente anche diverso, con capacità diverse, a secondo del bisogno di ciascuno, e la fontana che disseta chiunque, si avvicina a lei con qualunque anche recipiente, e questa è una bella immagine perché ci dice che quella fontana è in grado di dissetare tutte le esigenze, tutti i livelli di sete che ci possono essere, senza però mai esaurirsi, e nello stesso tempo senza mai rifiutare nessuno. Questa è anche una bella indicazione per noi cristiani, per noi sacerdoti, e cioè di poter accogliere tutti, dando a ciascuno quello che è in grado di recetire e nello stesso tempo anche invitandolo, sollecitandolo, mentre si disseta a quel tanto, a quel poco che chiede anche di ampliare questa sua capacità di ricezione e quindi di sentire dentro di sé sempre di più il bisogno, la fete dell'amore del Signore, pur bevendone continuamente. No, qui veramente, ecco, è da bandire ogni pensiero che uno possa vivere così di rendita, semplicemente del passato, ma questo noi lo sperimentiamo anche per il nostro corpo. Noi non possiamo dire al nostro corpo, guarda che non ti do niente oggi, domani, dopo domani, perché ti ho dato da mangiare un anno fa, un mese fa, una settimana fa. Il nostro corpo non vive semplicemente di rendita, ha bisogno di un alimento continuo, seppure senza esagerare, ma almeno un minimo occorre darglielo, perché possa poi anche esplicare un po' le varie attività che gli chiediamo. E quindi ecco, se questo è valido per il nostro corpo, perché non deve essere valido anche per la nostra fede? In questo modo per l'anima l'amore e fete che cerca con brama è ferita che risana. L'amore è ferita che risana. Il Dio e il Signore nostro Gesù Cristo, medico pietoso, si degni di piagare con questa salutare ferita l'intimo della mia anima. Sempre questo Santo che aggiunge, Egli che insieme col Padre e con lo Spirito Santo è un solo Dio nei secoli dei secoli. Amen. Una bella anche questa preghiera che ci fa entrare in questa dinamica che l'amore di Dio e la nostra fede ci richiama. C'è anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 27, che così scrive, il desiderio di Dio è iscritto nel cuore dell'uomo. Ecco, è iscritto, e dunque c'è qualcuno che lo scrive dentro il cuore dell'uomo, e questo qualcuno sappiamo bene che è Dio, dal momento del concepimento, immette nel cuore dell'uomo questa fete di infinito, questo desiderio di infinito, che è il desiderio di Dio. Perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio. Ecco, qualche volta ci dimentichiamo, ci limitiamo solo alla prima espressione, creati da Dio, attraverso la collaborazione dei nostri genitori, ma ci dimentichiamo che siamo creati per Lui, dove questo per Lui non è solo causa, a causa di Lui, ma anche indica la finalità del nostro esistere. Siamo fatti per Lui, e cioè con la finalità di aderire a Lui, di accogliere Lui, di amare Lui, di conoscere Lui sempre di più, di servire Lui sempre di più, e di vivere quindi di Lui e per Lui. Ecco, è questo che qualche volta tendiamo ad dimenticarci. Sì, più che altro, siamo un po', penso, tutti quanti noi convinti che siamo creati da Lui, veniamo da Lui, la vita è un suo dono, ma molte volte ci dimentichiamo che questo dono che abbiamo ricevuto della vita è un dono che va ridonato, donato di nuovo, anzitutto e prima di tutto, a Lui che ce l'ha regalato, e poi anche a tutte quelle persone che il Signore mette sul nostro cammino. Creato da Dio e per Dio. E Dio non cessa di attirare a sé l'uomo. Anche questo è bello. Torna a dire quello che dicevo poco fa, e cioè che molte volte abbiamo l'impressione noi di andare verso Dio, di essere noi a muovere i passi verso Dio, dimenticando che invece è Lui che per primo muove il passo verso di noi. Pensate attraverso la creazione, l'averci donato la vita, l'averci donato la fede, il suo figlio, il perdono dei peccati, e dunque anzitutto e prima di tutto è Dio che viene verso di me. E poi io do questa risposta di accoglienza, di servizio, di amore, di contraccambio. Ma Lui che per primo mi ama. Se poi pensiamo che noi prima di venire in questo mondo eravamo nella mente, nel cuore, nell'amore di Dio da tutta l'eternità, ci comprendiamo bene che dunque noi veniamo dopo. Anzitutto e prima di tutto è il Signore che pensa a me e che mi ama e per me dona il suo figlio. E dunque Dio non cessa di attirare a sé l'uomo, non cessa, cerca fino all'ultimo di attirarlo a sé, certo rispettando però sempre anche la sua libertà, la libertà dell'uomo. Non è un Dio che ci violenta, però certo usa anche qualche volta le maniere un pochettino, direi cattivelle, per farci capire, per attirarci a sé. E questo durante tutta la nostra vita, fino al momento della nostra morte. Dopodiché quel momento sancisce definitivamente le nostre scelte, le nostre risposte, la nostra posizione davanti a Dio. Il momento della morte certo è un momento dirinente, ma fino a quel momento Dio cerca in tutti i modi, come un buon padre che cerca appunto in tutte le maniere di attirare a sé il figlio, di riprendere un dialogo con lui e di convincerlo ad abbandonare una certa strada che lo porta lontano da Dio, dal padre, e ad abbracciare invece quello che il Signore Dio gli propone. Torna a dire, è questo un gioco fra l'iniziativa di Dio e il rispetto della libertà, della persona. Dio non certo violenta la persona. Perché? Perché l'ha creato Lui l'essere umano, ha voluto Lui, Dio, che fosse libero, responsabile, cosciente, dotato di intelligenza, di libertà, di coscienza, di senso, di responsabilità. E dunque Dio non annulla, non uccide la sua creatura, non l'annulla nella sua dignità, ma la rispetta, certo, anche se cerca in tutte le maniere di attirarla verso di sé e verso appunto la pienezza del suo amore. E soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa, senza mai stancarsi. Ecco, qui c'è il riferimento da parte del Catechismo alla verità e alla felicità. Sembrano lontane queste due parole? No, non sono per niente lontane. L'una richiede l'altra. E quando sentiamo dire dal Signore io sono la via, la verità, la vita, io sono la tua gioia, la tua felicità, dovremmo qui veramente anche credere e affidarci e fidarci maggiormente del Signore. Ecco, e la verità anche è importante, perché viviamo anche in un tempo dove c'è anche molta confusione, dove c'è lo scambio tra verità e menzogna, tra bontà e negatività. E dunque si tende a chiamare bene il male e male il bene. E pertanto c'è un po' di questa confusione che invece, appunto, Cristo Signore è lui la verità, è lui la certezza, è lui la vera e piena felicità, quella che noi andiamo cercando, appunto, senza posa, senza stancarci. La Gaudium espessa al numero 19 dice, la ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Bello anche questo riferimento del Concilio Vaticano II, attraverso questo documento importante che è la Gaudium espessa, al fatto che dove sta il fondamento della dignità, della persona umana, dell'essere umano? Ecco, se ci chiedessimo veramente dove io colloco la ragione, il motivo, la motivazione della mia dignità e della dignità del mio prossimo? Ecco, qui il documento ci richiama questa grande verità, alla mia relazione con Dio, alla relazione che Dio instaura con me, alla vocazione, alla comunione con Dio. Questo è il motivo vero, profondo, intenso, il più profondo e il più anche completo, il più alto della mia dignità. L'essere in comunione con Dio, già in questa vita e poi anche, che cos'è il paradiso se non vivere di questa comunione con Dio in maniera piena, contemplandolo faccia a faccia per tutta l'eternità? Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio, fin dal suo nascere, quindi è fin dal suo concepimento che inizia questo dialogo di Dio con il bimbo. Come? Non lo sappiamo, ma senz'altro c'è una maniera con la quale Dio dialoga con quel bimbo e certo man mano che poi viene alla luce quel bimbo, dovrebbe essere compito anche dei genitori e deve essere il compito dei genitori aiutare quel bimbo a scoprire questa presenza, questa azione di Dio in lui, parlandogli di Dio, parlando a Dio anche del proprio bimbo, insegnando anche proprio quelle che sono le cose più elementari, quelle belle preghiere e anche parlandogli di Dio, raccontandogli anche parlandogli di Gesù, di quello che Gesù ha fatto, dei suoi miracoli, delle sue parabole, man mano che cresce, e anche insegnando al bimbo quei gesti che sono propri della nostra fede cristiana, pensate ad esempio al gesto tanto importante del segno della croce, e poi anche aiutando il bimbo già nei primi anni, quindi sto parlando dai 0 ai 6 anni, 7 anni, dove i genitori sono sempre i primi e principali responsabili dell'educazione cristiana del proprio figlio, ma soprattutto anche in questi anni, perché sono gli anni in cui viene gettato il seme e quel seme cresce e cresce in un ramoscello e quindi ci dicono anche i pedagogisti, i psicologi, che i primi 3-4 anni di vita sono fondamentali per noi, per le nostre relazioni, sia con gli altri ma sia anche con Dio e con il creato, con il nostro corpo, e dunque ecco, sono anni preziosi, che purtroppo però da un punto di vista cristiano, molti genitori, anche pur avendo fatto la scelta di battentare il proprio bimbo, trascurano, demandando questo a quando il bimbo, il ragazzino, si iscriverà per la prima comunione e poi per la cresima e quindi demandando ad altri, come i catechisti, i sacerdoti, quello che invece è un loro compito, è una loro missione. Nella fede cristiana sappiamo bene che la missione fondamentale appunto dell'educazione umana e cristiana spetta ai genitori, non allo Stato e non neanche alla Chiesa, ma Stato e Chiesa e tutti gli altri sono collaboratori dei genitori. Finiamo almeno questa slide perché vedo che il tempo a mia disposizione è scaduto. Creato per amore di Dio, per amore da Dio, da Lui sempre per amore è conservato. Bello anche questo, creato per amore da Dio, non per necessità, non per altro, ma per amore, sapere che siamo amati da Dio e siamo venuti in questo mondo per un atto di amore che il Signore ha voluto e ha espresso speriamo attraverso appunto i nostri genitori e non attraverso atti di violenza o di imposizione. E poi aggiunge, ne vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo creatore. Ecco anche questo, siamo chiamati a riconoscerlo liberamente e ad affidarci a Lui liberamente. Questo liberamente significa senza essere costretti ma neanche senza essere impediti e purtroppo ancora in questo mondo ci sono paesi dove l'impedimento a professare anche pubblicamente la propria fede, purtroppo questo impedimento esiste e purtroppo anche da noi si va diffondendo un po' questo modo di pensare che se tu vuoi vivere la tua fede la puoi vivere come te pare però in privato, senza eliminando un po' dal pubblico segni, gesti o oggetti che secondo alcuni offenderebbero altri che professano altre religioni. Qui è il problema proprio anche della propria identità e dell'addiritto di professare la propria identità nel rispetto degli altri ma anche nel rispetto della propria identità. E comunque chiudiamo questo argomento dicendo, ancora citando il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 28, nel corso della storia e fino ai nostri giorni la ricerca di Dio da parte degli uomini si è espressa in molteplici modi, attraverso le loro credenze, i loro comportamenti religiosi. La ricerca di Dio si è espressa in vario modo, preghiere, sacrifici, culti, meditazioni eccetera. Malgrado le ambiguità che possono presentare, tali formi di espressione sono così universali che l'uomo può essere definito un essere religioso attraverso appunto anche questi preghieri, sacrifici, culti, meditazioni, atti degli Apostoli. Dio creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Atti 17. Bene, scusate se ho prolungato un pochino la Catechesi questa sera, sottraendo un po' anche a voi dei qualche minuto, ma almeno mi interessava un po' concludere queste belle citazioni.