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Carlo Alberto Dallachiesa was a general in the Carabinieri. He was born in 1920 and joined the Carabinieri during World War II. He played a significant role in the fight against the mafia in Sicily, investigating numerous murders and capturing key figures. He later became a prominent figure in the fight against terrorism, particularly the Brigate Rosse. Despite his dedication and success, he faced challenges and lack of support from the state. He was tragically assassinated in 1982 by the mafia. His death led to important changes in the fight against organized crime in Italy. Today, there are many symbols of recognition and gratitude for his service throughout the country. Carlo Alberto Dallachiesa, generale dei Carabinieri, nasce a Saluzzo, in provincia di Cuneo, il 23 settembre del 1920. Figlio di un carabiniere, vicecomandante generale dell'arma, non frequenta l'accademia e passa nei carabinieri come ufficiale di complemento allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nel settembre del 1943 sta ricoprendo il ruolo di comandante a San Benedetto del Pronto, quando passa con la resistenza partigiana. Al termine della guerra viene inviato a Bari, dove consegue le lauree di giurisprudenza e scienze politiche. Finita la guerra, con il grado di capitano, sposa Dora Fabbo, che gli darà tre figli, Nando, che diventerà uomo politico più volte eletto parlamentare, Rita, nota conduttrice civile, e Simona. Dopo positive esperienze nella lotta al banditismo, nel 1949 arriva in Sicilia, a Corleone, per sua esplicita richiesta. Nel territorio la mafia si sta organizzando e il movimento separatista è ancora forte. Qui il capitano dalla Chiesa si trova ad indagare su ben 74 omicidi, tra cui quello di Pracido Rizzotto, sindacalista socialista. Alla fine del 1949 dalla Chiesa indicherà Luciano Liggio come responsabile dell'omicidio. Per i suoi ottimi risultati riceverà una medaglia d'argento al valore militare. In seguito viene trasferita a Firenze, poi a Como e Milano. Nel 1963 è a Roma, con il grado di tenente colonnello. Poi si sposta ancora, a Torino, trasferimento che risulta per certi versi enigmatico. Anni dopo si scoprirà essere stato ordinato dal generale Giovanni De Lorenzo, che stava organizzando il Piano Solo, un tentativo di colpo di Stato per impedire la formazione del primo governo di centrosinistra. A partire dal 1966 e fino al 1973 torna in Sicilia, con il grado di colonnello, al comando della legione Carabinieri di Palermo. I risultati come ci si aspetta dalla Chiesa non mancano. Assicura la giustizia Bosman a Vitoldi come Gerlando Alberchi e Frank Poppola. Iniziano inoltre a investigare sulle presunte relazioni tra mafia e politica. Nel 1968 con i suoi reparti interviene nel Belice, in soccorso alle popolazioni colpite dal sisma. Gli viene consegnata una medaglia di bronzo al Ballor Civile per la personale partecipazione in prima fila alle operazioni. Svolge indagini sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, il quale poco prima aveva contattato il regista Francesco Rosi, promettendo di materiale scottante sul caso Mattei, presidente dell'ENI che perse la vita in un incidente aereo. Il veicolo, decollato dalla Sicilia, precipitò mentre si stava avvicinando all'aeroporto di Linate. Le indagini vengono svolte su un'importante collaborazione tra carabinieri e polizia. Il capo della polizia preposto è Boris Giuliano, in seguito ucciso dalla mafia. Nel 1963 dalla Chiesa è promossa il grado generale di brigata. Un anno dopo è comandante della Regione Militare del Nord-Ovest, che opera su Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria. Seleziona una decina di ufficiali dell'arma per creare una struttura antiterrorismo, la cui base è a Torino. Nel settembre del 1974 a Pinerolo cattura Renato Curcio e Alberto Franceschini, esponenti di spicco delle Brigate Rosse. Grazie anche all'infiltrazione di Silvano Girotto, chiamato anche Frate Mitra. Negli anni più buivi del paese, il 19 febbraio 1978, a Torino muore la moglie Dora, colpita da un infarto in casa. Il governo del paese ha sfida dalla Chiesa poteri speciali. Viene nominato coordinatore delle forze di polizia e degli agenti informativi per la lotta al terrorismo, una sorta di reparto speciale del Ministero dell'Interno, creato proprio per contrastare il fenomeno delle Brigate Rosse, che in quegli anni imperversava, con un riferimento particolare alla ricerca investigativa dei responsabili dell'assostimio di Aldo Moro. Grazie alla Chiesa e ai suoi solleciti al governo del paese, in questo periodo viene formalizzata la figura giuridica del pentito. Facendo leva sul pentitismo, senza tralasciare le azioni di infiltrazione e spionaggio, arriva ad individuare ed arrestare gli esecutori materiali degli omicidi di Aldo Moro e della sua scorta, oltre che imprigionare centinaia di fiancheggiatori. Grazie al suo operato viene ricontegnata all'arma dei carabinieri una rinnovata fiducia popolare. Seppolco involto in vicende che lo scuotono, alla fine del 1981 divenne vicecomandante generale dell'arma, come già fu il padre romano in passato. Tra le polemiche prosegue il suo lavoro, confermando e consolidando la sua immagine pubblica di ufficiale integerrimo. All'inizio del mese di aprile del 1982, dalla Chiesa scrive al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini queste parole. La corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti, sarebbe stata la famiglia politica più inquinata da contaminazioni mafiose. Un mese dopo viene improvvisamente inviato in Sicilia come prefetto di Palermo per contrastare l'insorgere dell'emergenza mafia, mentre il proseguimento delle indagini sui terroristi passa in altre mani. A Palermo lamenta più volte la carenza di sostegno da parte dello Stato, emblematica e carica di amarezza rimane la sua frase. Vi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì. Chiede di incontrare Giorgio Bocca, uno dei giornalisti più importanti del periodo, per lanciare attraverso i media un messaggio allo Stato, un messaggio che ha come obiettivo la richiesta di aiuto e sostegno da parte dello Stato. Nell'intervista del 7 agosto 1982 c'è la presa d'atto del fallimento dello Stato nella battaglia contro Cosa Nostra, delle connivenze e delle complicità che hanno consentito alla mafia di agire indisturbata per anni. Di fatto la pubblicazione dell'articolo di Bocca non suscita la reazione dello Stato, bensì quella della mafia che aveva già nel mirino il generale dei Carabinieri. È la sera del 3 settembre 1982. Carlo Alberto dà la chiesa siede al fianco della giovane seconda moglie, Emanuela Fetti Carraro, la quale ha la guida di un A112. In via Carini a Palermo l'auto viene affiancata da una BMW con a bordo Antonino Madonia e Calogero Ganci, i quali fanno fuoco attraverso il parabretto con un fucile Kalashnikov AK-47. Nello stesso istante l'auto con a bordo Domenico Russo, autista e agente di scorta del prefetto della chiesa, viene affiancata da una motocicletta guidata da Fino Greco che lo fredda. L'omicidio di Carlo Alberto dalla chiesa è stato progettato dall'organizzazione mafiosa di Cosa Nostra. Dopo la sua morte il Parlamento farà il primo importante passo che cambierà la storia della lotta alla mafia nel nostro paese. La strage di via Carini, per cui furono condannati i vertici di Cosa Nostra, costringe il Parlamento a un cambio di passo epocale nel riconoscimento del fenomeno mafioso. Il 13 settembre, solo dieci giorni dopo l'omicidio del generale dalla chiesa, viene approvata la legge che introduce nel nostro ordinamento la fattispecie delle liste di associazione per delinquere di tipo mafioso e le misure di prevenzione patrimoniale che si affiancano a quelle personali e che vengono intensificate contro i boss di Cosa Nostra. Le carte relativa al sequestro di Aldomoro, che dalla chiesa aveva portato con sé a Palermo, dopo la sua morte svaniscono. Non è stato accertato se sono state sottratte in via Carini o se trafugate nei suoi uffici. Secondo Philip Willan, noto giornalista e scrittore di libri sul terrorismo, dalla chiesa era a conoscenza di segreti molto delicati del periodo della guerra fredda in Italia, della lotta al terrorismo, accordi tra organizzazioni mafiose e di guerra al comunismo, ha detto Willan a Euronews. «Penso che molto facilmente i destri cari della mafia possono averlo eliminato per conto di altri interessi, come conseguenza di altre strade, mi ha molto colpito un fatto rivelato dai familiari del generale, che nel momento in cui lui viene ucciso a Palermo si va direttamente alla sua villa per prelevare dei documenti dalla sua cassaforte. Nello stesso tempo avviene un'intrusione nella villa di famiglia nel continente, un'operazione coordinata sempre per cercare dei documenti, quindi sembrerebbe che ci sia stata un'operazione estremamente complessa e orizzontale, in modo da rinforzare la sua vita. Non è stata un'operazione estremamente complessa e organizzata da forze molto informate ed efficienti, magari al di là delle capacità di Cosa Nostra». Carlo Alberto della Chiesa viene insignito della Medaglia d'Oro al Valor Civile alla Memoria con queste parole. Già streno combattente, quale altissimo ufficiale dell'arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico come Prefetto della Repubblica di respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese, barbaramente suicidato in un vile e prodittorio agguato, teso icono esterata e ferocia, sublimava con i propri sacrifici una vita dedicata, con eccesso e senso di dovere, al servizio delle istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere. Se è vero che le istituzioni non sono state presenti nel suo momento del bisogno e questa pesante assenza è addirittura aggravata sui familiari a partire dall'immediato periodo successivo alla morte, a ricordare alle generazioni il valore civile di questo importante personaggio italiano, vi sono oggi in tutto il Paese innumerevoli simboli di riconoscenza, come monumenti, intitolazioni di scuole, caserme, piazze, vie e parchi.