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www.redigio.it E la storia continua Milano è il vecchio milanese Il primo cittadino milanese nel quale ci sia pervenuto il nome romanizzato è Valerio Leone E perché ci pervenne? Per una disputa tra il burro alpino e l'olio appendinico Valerio Leone ospitò Giulio Cesare che passava di qui coi suoi soldati E al grande capitano offerse un piatto di manifaci aspargi conditi col burro e con l'odoroso cacio I compagni del trionfatore torsero la bocca con schifo Ma che porcheria, ma è questo un guento? Esclamarono nel loro puro latino Noi gli asparagi li mangiamo col biondo olio Ma Cesare che sapeva apprezzare il buono dappertutto e sotto tutte le forme Mangiò con grande soddisfazione quel fresco intingolo Deridendo i compagni Il grave storico che ha conservato l'aneddoto Ha forse contribuito a creare intorno ai milanesi la fama di chiottoni Unto il piattello, stracciato il mantello Diceva un proverbio e la retina cantava Di trippe coronate e cervellate Mentre un altro poeta passando il rassegno alle occupazioni degli italiani Dalle varie province cita e questi e quelli E i buoni milanesi a banchettare E subito Lupi Lombardi gli chiamava un letterato di cattivo umore E Busleconi gli dice il vogo che pur appetisce la succolenta trippa Busleconi Attorno altri per le favole della moglie del Barbarossa Riportato persino nelle medaglie e forse come nota Vespasiano, Bignani Tutte queste accuse derivano da ciò Solo per il milanese che fa maggior chiasso è a tavola Perché ama di trovarsi in buona compagnia Dopo aver lavorato tutta la giornata a tavola chiacchiera E' espansivo, prende la rivincita della fatica durata Con le risate piene E dopo tavola braserà E' la conseguenza di questo sentimento di socialità L'aria panerosa del milanese fu più volte presa di legge dagli italiani di altre province Ma i milanesi del resto restituirono loro pan per focaccia Il dialetto, negli accenti larghi, fu dal pulci nel 1473 Vestigiato in due sonnetti mandati a Lorenzo de' Medici Ma il nostro tanzi aveva più ragione a disclamare A Ghem una lingua verda E a Verd è Chor Il Cantù chiama il milanese e la lingua del Minga Quasi attissima ai rifiuti Il povero Pietro vo soleva dire la lingua del Comè Il Manzoni riassumeva nel Minga Mal E aggiungeva Il milanese vero e riflessivo Si mette in guardia non solo verso gli altri Ma anche verso se stesso E le prime impressioni E quando gli domandate il suo parere sopra una poesia Un quadro, un uomo, una stoffa, un oggetto qualunque Egli vi risponde subito Minga Mal Dopo, quando meglio ci pensa Il Minga Mal non lo ha compromesso E allora, osservando con maggior cura Completa il suo giudizio con le gradazioni del peggiorativo O dell'encomio e conclude col pessimo o con l'ottimo Il dialetto Pardon La lingua milanese Conta più di cinque secoli di storia letteraria accertata A cominciare da Pietro de Bescapè E da Fra Bonvicin della Riva Per lunga pezza il suo ufficio principale fu far ridere Aveva un tipo meneghino Al quale si aggiunge un altro tipo campagnolo Baltram della Giffa Nativo di Gaggiano Posto bel Camborgo Lungo sulla riva del Naviglio Grande E al quale diede per moglie Betramina Non Musa, ma Musella Del Borg del Cittadella Le maschere del nostro dialetto Figurano nel teatro e nelle poesie satiriche Che esse cantavano per le vie Erano dette le Bosinate Queste Bosinate ridotte a breve e pungenti dialoghi o motti Dall'ora erano affisse all'uomo di Pietra Il Pasquino Miranese Quasi in capo alla odierna via di San Pietro all'Orto Verso il corso Vittorio Emanuele Solgeva la chiesa di San Giorgio al Pozzo Bianco Fondata dall'arcivescovo Aldemano Della famiglia dei Menclossi E demolita nel 1787 Alcuni scrittori credono che il popolo avesse innalzato Ad Aldemano una statua La quale vedersi tuttora nella casa Sul corso Vittorio Emanuele al numero 23 La quale nei tempi scorsi Si dipingeva una volta all'anno A strisce bianche e nere Poiché tale l'insegna del Menclosso Questo è creduto il primo indizio Di stemmi e di colori che abbia in Milano Perché le imprese gentilizie Si formarono e divennero comuni solamente dopo le crociate Questa statua di fattura evidentemente romana Fu creduta a rappresentarsi Il grande oratore Cicerone Che governò Milano alcun tempo Tanto più che ai suoi piedi Leggesi un detto di quel celebre filosofo Carere debet omni Vigio qui in alium dicere paratus est La nostra statua oggi non è più Né Cicerone né Aldemano Né pagana né cristiana Essa è l'uomo di pietra Il sur carera del popolo Per essere la sua prima iscrizione Carere ecc Che fece un suo detto scolpito le piedi E sapendo di non peccare perché di sasso Scaglia senza pietra la prima pietra contro il peccatore È la personificazione della satire milanese Che va rivestita di una certa abbonomia Nella quale però escono fuori frizzi pungenti Che define Argusia

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