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"www.redigio.it" is a website that continues the story of Susi Herrera's family origins. Susi shares memories of her grandmothers, one from Milan and the other from Sicily. She talks about the different languages spoken in her home, including Milanese and Greek. Susi also mentions the diverse recipes that have been passed down through her family, including dishes from Austria and North Africa. She concludes with some humorous sayings her grandmother used to say about people's appearances. www.redigio.it e la storia continua mia nonna diceva motti milanesi e lombardi dell'ottocento le mie origini Susi Herrera, una dotta signora di origini milanesi, ci ha permesso di attingere da un suo brillante scritto, contenente espressioni tipiche personali, proverbi e modi di dire, una sorprendente ricostruzione di vita del passato, dall'estessa commentata con molto garbo, si tratta di ricordi di vita vissuta con singolari aneddoti dell'ultimo trentennio dell'Ottocento, riferiti dalla nonna e rimasti indelebri nella sua vivida memoria. Alla nascita mi sono stati imposti ben tre nomi, Irma, Simba e Corradina, sono i nomi delle mie nonne, i primi due quella della nonna Irma, la nonna paterna di stilpa ebraica, Simba significa gioia, e il terzo, Corradina, quello della nonna materna siciliana. Se però doveste richiedere un mio certificato di nascita alla Nagrafe di Milano vi sarebbe una lunga ricerca perché per persone nate come me all'inizio dell'altro secolo c'è un locale speciale in fondo a un groviglio di corridoi in disuso, vi verrebbe poi recapitato un documento che ricca questa scritta, Herrera Irma Simba Corradina, detta Sussi, nata il 28 maggio 1918, io però mi riconosco soltanto con il nome di Sussi anche se non ho mai saputo perché mi sia stato dato dai miei genitori. Dalle mie due nonne purtroppo ho conosciuto solo quella materna, Corradina, l'altra, nonna Irma, una toscana nata ad Alessandria d'Egitto, non l'ho mai incontrata essendo morta prima che mio padre si sposasse. Alcuni suoi modi di dire tipicamente toscani però si sono infiltrati nel nostro linguaggio familiare, così come molte ricette di cucina sono entrate a far parte della mia preziosa raccolta culinaria. Lessico e cucina mi sembrano andare a braccetto quando penso alle memorie di casa mia. Entrambi sono parte integrante di quella tipica micro-cultura che caratterizza i diversi nuclei familiari. «Parla come te manget», diceva la nonna siciliana che essendo vissuta a Milano, da quando aveva vent'anni e fino alla morte, avvenuta a 86 anni, parlava il classico milanese con perfetta pronuncia che nulla lasciava trasparire delle sue origini meridionali. L'unico momento in cui queste due si potevano riconoscere era quando contava «uno, due, tre». Se io mai le rifacciavo le sue mancate origini milanese, lei mi rimbeccava «sono più milanese di te che vivo a Milano da più da 60 anni». La nonna aveva sposato un insegnante cremonese vissuto sempre a Milano e tra di loro parlavano del «un bel vernacolo saporoso», quello classico delle famiglie borghese dell'Ottocento. Anche i loro figli, la mia mamma e i miei due amatissimi zii, parlavano un bel milanese e recitavano, Carlo Porta e con gusto. A me però il dialetto non è mai stato insegnato in infanzia e ho voluto apprenderlo poi sui testi del Porta, appunto, su quelli di Deglio Tessa, quell'incantevole poeta milanese della prima metà dell'altro secolo che, quando ero bambina, frequentava la nostra casa insieme a tutto un gruppo di scrittori e artisti lombardi, dei quali conservo un bellissimo ricordo. Va detto che mio padre, di famiglia italianissima, era nato come pure suo padre a Salonico, un crocevia tra Europa e Vicino Oriente, e che in casa loro si parlavano le più svariate lingue, comprese greco con la servitù in genere e il turco con il cuoco. Così nella nostra cucina sono entrate gustose ricette, come i pilaf di vario tipo, il moussaka, ma anche lo strudel e molte altre specialità, ereditate da una mia nanny austriaca, figlia di un pasticciere di Linz. La sua linzer torte era sublime e quando preparava lo strudel, stendeva la pasta sulla grande superficie del tavolo di cucina, fino a ridurla in una sottigliezza tale, come diceva lei, da permettersi di leggersi il giornale attraverso. Ma sia nel lessico che nella cucina c'era pure una robusta vena schiettamente toscana, proveniente questa da mia nonna Irma, che sebbene fosse nata all'ombra delle piramidi, era pur sempre di famiglia ribornese. A lei levo la ricetta del couscous ebraico, una complicata preparazione che si distingue molto dei vari couscous nordafricani, col quale ha in comune soltanto il semolone di grano. A questo proposito ricordo che durante la mia infanzia, quando si voleva preparare questo piatto a Milano, c'era un'unica fonte per la semola, il negozietto di piazza Santo Stefano, la centralissima piazza in cui allora si teneva il mercato giornaliero. Era un negozio di granaglie che mi incantava, con i suoi molti sacchi semiaperti di legumi, lenticchie di vario colore, fagioli giganti e minuti bianchi, verdini o screziati, e i borlotti che sembravano iscritti con misteriosi giroglifici. La laboriosa preparazione del couscous requedeva che la semola, legata entro un tovagliolo, cuocesse per lunghissime ore sul vapore esprisionato dal saporoso miscuglio di verdure e polpettine che bollichiava sotto di esso. Oggi tutto questo non è più necessario e io stessa, pur amante delle tradizioni, faccio uso di una comodissima semola precotta che ne riduce la preparazione a soli dieci minuti di cottura. Mia nonna amava ricevere alcuni amici scelti. Quando qualcuno faceva il modesto, servendosi con molta parsimonia, le diceva che il tirasò, che lui e gà la butone era lunga. Questo si riferiva soprattutto alle persone corpulente. Era moda di un tempo di portare la marsina lunga tutta bottonata, per cui le persone panciute avevano, è logico, tanti bottoni. Di queste persone, però, mia nonna diceva anche, riguardo alla loro mole eccessiva, le tute a fadiga dissodente. Quando un ospite chiedeva se poteva portare qualcosa, le rispondeva col detto di un burlone di Noto, la città della sua infanzia, il quale, invitato, diceva di contribuire al convinto con panza e presenza. Se però qualcuno portava, ad esempio, un vassoietto di paste e poi se ne serviva abbondantemente, la nonna, una volta partito l'ospite indiscreto, commentava O cecco porta la paglia e O cecco se la mangia. Lo cecco e l'asino.