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The transcript discusses the ancient practice of metalworking, specifically the production of bronze and iron objects. It explains how the ancient people discovered the process of metallurgy through the accidental melting of stones near fire. The transcript goes on to describe the different phases of bronze production, including extraction, fusion, and casting. It also explains the more complex process of iron production, which required various techniques such as smelting, cementation, and tempering. The transcript also briefly mentions the extraction and working of soapstone during ancient times. Traccia di un lontano passato. La lavorazione dei metalli L'uso degli strumenti in bronzo e ferro, da parte dei nostri antichi, è una fonte diretta. Indirettamente, invece, si può supporre l'attività di lavorazione dei metalli. Ma come gli antichi arrivarono ad ottenere oggetti in bronzo e in ferro? Ma come forgiavano il metallo? Come può essere dunque nata la metallurgia? Per molti secoli, l'uomo primitivo si era servito di utensili in pietra, osso e legno. Casualmente scoprì che le pietre, accanto al fuoco, si infondevano e assumevano, una volta raffreddata, la forma voluta. Così iniziò la metallurgia, cioè la lavorazione dei metalli che determinò persino tre diverse età, quella del rame, del bronzo e del ferro. Nella piena età del bronzo, che sarebbe il rame più stanio, sono documentate tre fasi di lavorazione. La prima fase, estrazione del materiale. Una volta individuati i filoni di minerale, si stavano eseguendo in verticale. La parete della miniera veniva ben riscaldata con il fuoco, poi si gettava sopra dell'acqua fredda. L'improvvisa contrazione dovuta al raffreddamento inclinava la roccia, che veniva poi abbattuta con mazze di pietra e cunei. Selezionato, il materiale veniva trasportato ai forni infusori. La seconda fase, della fusione. La fusione avveniva nel cosiddetto forno fusorio, a una temperatura attorno ai 1000 gradi, con l'aggiunta dello stanio. Per raggiungere e mantenere tale temperatura, si metteva aria, quindi anche ossigeno, con l'aiuto di canne emantici. Rame e stanio raggiungevano il punto di fusione, si mescolavano e formavano la rega. Nel forno emanevano l'esporia del minerale. Terza fase, colata. Il bronzo, ottenuto a stato fuso, veniva versato nel crociono negli istanti già predisposti. Si ottenevano, oltre ad ornamenti per i quali era necessaria una quantità minore di stanio, per lo più armi che, per essere resistenti, richiedevano una quantità pari a 10-20 parti di stanio e 90-80 di rame. Dal pugnale a rama triangolare e dalle punte di lancia, si arrivò alla spada, che modificò il costume del guerriero. Per difendersi, aveva anche bisogno di ripararsi con lo scudo, il legno e il cuoio, rinforzato da borchi e bronze. E con l'ermo interamente in bronzo. Strumenti di offesa e di difesa, ancora più efficaci, si ottennero però con un terzo metallo, il ferro. Per una valida ed efficace competitività, il ferro doveva essere sottoposto a vari procedimenti, radicalmente diversi da quelli usati per i metalli precedenti, e da tecnologie e lavorazioni più complesse. La vera metallurgia iniziò con l'estrazione del ferro dai minerali, magnetite, ematite, limonite, e con la scoperta delle tecniche di fusione. Il punto di fusione del ferro, 1537°, troppo alto per essere ottenuto da forni antichi, non permetteva di produrre a ferro lo stato liquido, come avveniva per i rami e il bronzo, che insieme si modificavano con il raffreddamento. Alla fine della fusione si ottenevano scorie ed un massello ad alto contenuto di ferro, ma ancora ricco di impurità. Per ottenere ferro lavorabile, il massello andava ripetutamente battuto a caldo, battitura, ottenendo così ferro dolce, privo di impurità, ma con una durezza inferiore al bronzo. Per aumentare la durezza si effettuava la cementazione, detta anche carburazione, cioè si batteva il ferro dolce su un fuoco di carbone di legna, in modo che ne assorbisse il carbonio, ottenendo così acciaio, cioè ferro con un tenore di carbonio tra il 0,5 e il 1,5%. Con la tempra, ossia raffreddamento rapido in acqua, si otteneva l'ingiurimento del ferro cementato. In questo modo si aumentava la durezza, ma purtroppo anche la fragilità. Poteva quest'ultima essere ridotta attraverso il rinvenimento, riscaldandoci ulteriormente il ferro a 700°C. Solo con la scoperta e l'attuazione di questi procedimenti, il ferro diventò una valida alternativa al bronzo. Tracce di un lontano passato Estrazione e lavorazione della pietra ollare Sicuramente i nostri antichi non estraevano e lavoravano la pietra ollare perché era fatta dai valigiani dalle prealpi lombarde. Infatti la pietra ollare, formazione rocciosa del Quaternario, veniva estratta da cercimenti sotterranei in galleria o a cielo aperto, soprattutto nelle vallate alpine. E là Val Chiavenna ad essere il maggior centro, in particolare Piuro, dove nel secolo XVII, le numerose gallerie sotterranee scavate fessero addirittura frenare il monte. La pietra ollare veniva estratta maggiormente durante l'inverno con l'aiuto del gelo che ghiacciava l'acqua infiltrata nella roccia, così da favorire la frattura. Si tagliavano blocchi di forma sia circolare, dal peso nel superiore ai 40 kg, per ottenere recipienti o altri oggetti, sia rettangolare o quadrata, per altri usi. Una volta tagliati, i blocchi di pietra venivano trasportati nei luoghi di lavorazione, che non distavano molto da quelli di estrazione. Per questo si è andati a pensare che, in età romana, intensi fossero i rapporti e gli scambi tra gli abitanti della pianura e quelli delle zone prealpine. Considerata una varietà di talco, tale pietra scistosa con colorazione verde, coloristocito, oppure grigia, talcocito, è tenera, quindi facilmente lavorabile con strumenti metallici, come scalpelli, e resistente al fuoco. Trattiene calore a lungo, per poi cederlo lentamente. Era possibile ricavare, da un grosso nucleo, senza eccessivo scarto e in serie, recipienti sempre più piccoli, che venivano utilizzati sia per contenere liquidi, che derrate alimentari, sia anche per cuocere. Da queste sue particolarità, la pietra orlare, già nota nell'Alto Impero Romano, si diffonde notevolmente nel IV secolo d.C., data l'economia di sussistenza di tale periodo. Non si conosce con precisione come i Romani lavorassero la pietra, ma dall'ultimo lavaggiaio, ora scomparso, si può risalire al sistema di lavorazione di tale pietra, con il torno idraulico. È un processo di tornitura a rendere intensa la produzione e la diffusione degli oggetti in pietra orlare. Se nell'epoca preromana, infatti rarissime ne sono le testimonianze, esempio fusaiole, pesi da telaio risalenti all'età del ferro, nel periodo Alto Mediovale, invece svariati erano manufatti dai diversi usi, oltre che per pentole e piatti da portato o bicchieri, a volte nella superficie esterna tornita, si ottenevano anche lampade, incensieri, calici e persino un fonte battesimale, vedi la chiesa di San Lorenzo a Caverna. E in epoca posteriore, poi tale pietra era utilizzata anche per ferro da stiro e stufe, portali, colonne, tubi idraulici. Oggi infine, prevalentemente, viene usata come pietra da forno.