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The transcription discusses the history of Leone d'Aperego and the belief that the mummy preserved in Ro could be his remains. Various historical sources mention the burial of Leone d'Aperego in Legnano and the discovery of his body during renovations. However, a commission in 1938 concluded that the mummy in Ro is not the body of Leone d'Aperego. Some speculate that San Carlo Borromeo may have been involved in the relocation of the body. The article also mentions the process of beatification for Father Giorgio. www.redigio.it e la storia continua. Ed ecco alcune notizie di Leone d'Aperego dopo la sua morte. Qui vengono documentate varie ragioni che portano a ritenere che la mummia conservata da Ro possa essere identificabile con i resti mortali di Leone d'Aperego. 1566 Tra i beni di Legnano è da rilevarsi un grande palazzo antico vicino alla prepositurale di San Magno, detto dei cittadini al civescovado, dove si afferma e appare dagli antichi storici che gli arcivescovi di Milano trascorrevano parte dell'anno. Vi soleva abitare lungo l'anno l'arcivescovo di Milano, Leone d'Aperego, dove spirò l'anima sua e il suo corpo fu sepolto nella piccola chiesa di Sant'Ambrogio, ma poi trasferito nella chiesa di San Magno. Anno 1580 Quando si praticarono i restauri in Sant'Ambrogio, riferisce Prevosto Legnano Agostino Pozzo, nella sua cronaca, nella prima metà del seicento, fu scoperto il corpo di Leone d'Aperego, arcivescovo di Milano, sotto una volta del muro poco elevato da terra, tutto intero, in un grosso tronco e scavato a moduli di culla. Escrivendo questo vivevano delle persone che attestavano di averlo veduto, venne ciò notita a San Carlo Borromeo, di Vente, nel quale si trovò Anna Serra Legnano, e riconosciuto il tutto, la mattina immediatamente seguente, non si vide, nell'arcivescovo vivo, nel morto. Se è vero quanto riferisce il Pozzi, la stamma dell'arcivescovo sarebbe andata smarrita, e dove? Prima metà del 1600 Durante la visita pastorale del Cardinale Monti a Legnano, nella Basilica di San Magno, furono fatte ricerche, ma non fu invenuta nessuna traccia di Leone d'Aperego. Anno 1623, da Historia Pontificale di Milano, di Francesco Bisolzo, così scrisse. Ritiratosi a Legnano, ove aveva appena fatto fabbricare le stanze archiepiscopali assai magnifiche, e morì il 16 ottobre 1257. Anno 1670, da Ateneo dei Letterari Milanesi di Don Filippo Piccinelli, governò la Chiesa milanese lo spazio di sedici anni, e in Legnano fu sepolto. Anno 1840, nell'estate, nel corso di lavori per l'abbattimento della vecchia chiesa di San Vittore di Ro, per far posto la nuova, sul solaio trovarono una cassa di legno, all'interno una salma perfettamente conservata. Dalle alcune scritte e dai paludamenti indossati scoprì che fosse l'arcivescovo di Milano di Don Filippo Piccinelli, che la salma fu posta dentro un urna di vetro e collocata nel cimitero di Ro. I rodensi erano orgogliosi del possesso della mummia, e si sparse la voce di grazie ottenute tramite preghiere indirizzate al vescovo. Anno 1878, il sindaco di Ro, Giovanni Battista Berretta, in un inventario dei monumenti ed oggetti di antichità e belle arti esistenti nel comune di Ro, scrisse che vi erano due cose degne di nota. Il santuario è una bella, perfettissima mummia che da diversi dati cronologici si ritiene l'arcivescovo Leone da Perego. Anno 1897, il 16 di settembre, nel fascicolo Quattordicesimo Centenario di Sant'Ambrogio si riconosce la salma di Leone da Perego nel corpo mummificato e non scheletro che si conserva in un'edicola nel cimitero di Ro. Anno 1900, in Storia del santuario della Madonna dei Miracoli presso il paese di Ro. Nel cimitero di Ro merita considerazione la mummia ben conservata di un uomo alto, con capelli a barba rossa, che si crede, non senza ragione, il corpo di Leone da Perego al cilesco di Milano, che, sepolto esule a Regnano, fu di nascosto fatto trasportare da San Carlo in non lontano Borgo per sottrarlo al curto abitrario del popolo. Anno 1910, in Storia di Carlo Bromeo, nel terzo centenario di canonizzazione, Don Cesare Ossedigo scrisse «San Carlo sottrasse al culto del popolo reliquie inevitabilmente venerate». Così da Regnano fece asportare furtivamente il corpo di Leone da Perego al cilesco di Milano perché il popolo pretendeva fosse santo e arbitrariamente già lo venerava. E Don Carlo Pellegrini scrisse «A Regnano, restaurando la chiesa di Sant'Ambrosio, si rinvenne il corpo dell'arcivescovo di Milano, Leone da Perego, che qui era stato sepolto, e il popolo accorse subito per venerarlo come santo. Di fatto, qualche culto a questo nostro l'arcivescovo era stato dato specialmente dalla famiglia francescana e a San Carlo, venuto dalla posta Regnano. Giustamente, non parle che ciò bastasse, e comandò che il cadavere dell'arcivescovo fosse sepolto in luogo sconosciuto. Anno 1913, Inna, gli antichi vescovi d'Italia, a cuore di Federe Savio, scrisse «Il 14 ottobre 1257 moriva Regnano, l'arcivescovo Leone da Perego, dopo 16 anni, 3 mesi e 30 giorni di governo». Qui è da correggere Leo Bell, che lo dice morto il 13 ottobre 1263. I francescani l'onorano come veato, e nella loro chiesa a Regnano lo dipinsero coi raggi attorno a capo in un pilastro a mano destra. A tempo di San Carlo fu scoperto il suo corpo, posto dentro in un grosso tronco d'albero, scavato a Modicunla nella chiesa di Sant'Ambrogio, detta forse in antico del Salvatore. Il fiamma dice che fu sepolto vilmente, ma è probabile che ciò venisse per suo volere. Anno 1927, in Milano Sacra si legge «Nel cimitero di Roa è conservata una mommia che si crede fosse al corpo del recipescovo di Milano, Leone da Perego, francescano, quivi trasportato da San Carlo Bromeo, perché gli veniva tributato un culto non sanzionato dalla chiesa. Beh certo, il relatore di questa nota non fa onore a San Carlo, il quale, sic stantibus revus, verrebbe accusato di profanazione della salma di un uomo, cos insigne che sino al sangue difese la sua chiesa milanese. Non dimentichiamoci che San Carlo Bromeo era confessore del terzo ordine francescano e incito protettore dell'ordine minoritico presso la sede apostolica, ricordato dal martirologio francescano. Amante della povertà, vuole seguire l'esempio di San Francesco d'Assisi, iscrivendosi nel suo terzo ordine e vivendo la sua spiritualità. Pertanto, i taluni affermino che San Carlo volesse far scomparire la salma di Leone da Perego, ma non trova conferma. Forse voleva portare la salma di Leone da Perego e darla in degna sepoltura nel Duomo di Milano, facendola porre provvisoriamente nella chiesa di San Vittore Martire di Rò in attesa di predisporre a tutto tutte le domande che non trovano precise risposte. Ma una risposta è certa, San Carlo era devoto a San Francesco e ai francescani. Anno 1929, nei due volumi dedicati alla vita di San Carlo Borromeo, Cesare Arsegno scrive «Non vi sono dubbi sul trafugamento della salma di Leone da Perego, si tratta di stabilire dove l'hanno collocata». Anno 1933, settembre, il professor Carlo Massimo Rota, noto studioso di storia milanese, in una lettera prevosto di Rò Monsignor Giuseppe Benetti, anche un occhio che ha visto pochi cadaveri, che poco conosce di autonomia, subito avverte che la splendida conservazione di quel cadavere, la mummia, non può avere altre spiegazioni che nell'imbalsamazione, che nel Medioevo si praticava solo ai regnanti, ai principi di sangue e ad altri dignitari della chiesa. Provata l'imbalsamazione, ci troviamo già sulla via diritta per trovare la verità. Anni 1933-1936, presso l'archivio del comune di Rò esiste una fitta corrispondenza in merito alla mummia nel cemitero di Rò, supposta salma di Leone da Perego, ma sono lettere fra il prevosto e il sindaco, l'istituto di medicina legale della Regia Università di Milano e l'ufficiale sanitario del comune di Rò. Gli scritti sono indereggi alla consegna della mummia al museo dell'istituto di medicina legale, al direttore Antonio Cazzaniga, il quale, da me sentito telefonicamente attorno a 1960, mi disse di non aver mai visto una mummia. Comunque, tutta questa fitta documentazione termina con uno scritto del ponestà del 12 maggio 1936 dal titolo «Promemoria» che dice «In attesa di successivi definitivi provvedimenti e per togliere giusta disposizione cardinale archivescovo, detta mummia dal culto della vista del pubblico, stabilisce che la medesima mummia venga in via segreta trasportata e inumata in un colombaro del cimitero stesso, con divieto di qualsiasi iscrizione sulla lastra di chiusura». Anno 1933-38. Il cardinale Schuster nel 1933 crea una commissione costituita da Monsignor Giuseppe Galli, archivista della Veneranda Curia di Milano, e da Monsignor Agostino Saba e da Monsignor Carlo Castiglioni, dottore dell'Ambrosiana, i quali esaminano i documenti e arrivano a certe conclusioni. Cheleone d'Apergo era stato sepolto originariamente nella chiesa di Santa Ambrogio a Legnano e in seguito trasferito nella chiesa di San Magno a Legnano, prima ancora dell'arriva di San Magno. E quindi il trafugamento era dovuto a una interviolazione o cattiva lettura dello scritto del prevosto pozzo di Legnano, e che assolutamente questo cadavere non poteva identificarsi con la mummia trovata a Rò. Questa tesi risultava vallata da disposizioni emanate nel 1568, relative alle pesime condizioni in cui si trovava la chiesa parrocchiale di Rò, non ritenendo verosimile che il cadavere di un vescovo fosse sepolto nel solaio della chiesa. A termine del loro lavoro, nel 1938, la Commissione concluse che la mummia di Rò non è il cadavere di Cheleone d'Apergo. Anno 1935. Dal settimana Le Luce, l'articolo di Carlo Agrati. La mummia di Rò, si legge, la mummia di Rò possono vederla tutti ancora oggi nella sua urna di vetro con cartello supposto, scheletro di Leone d'Apergo a Cedesco, Milano, con accesi lumini accanto agli ex voto, sette cuori aggentati. E qui si ricorda che, eseguendo dei lavori circa 80 anni fa sul solaio della chiesa parrocchiale di San Vittore di Rò, si scoperse questo cadavere mummificato. Li fu chi credette spiegare la misteriosa scoperca, col supporre che San Carlo, 300 anni prima per far scomparire il morto trovato legnano, fosse, forse, per togliere dal culto senza precise motivazioni. L'avesse preso con senne in ritorno a Milano e l'avesse affidata ai preti di Rò con l'ordine di nasconderlo così non se ne parlasse mai più. Anno 1935. Sul bollettino parrocchiale di Rò, padre Giustino Borgonovo scrive in merito al processo di beatificazione di padre Giorgio Maria Martinelli, fondatore degli obblati missionari di Rò, e scrive. E' qui, però, il luogo di fare un'osservazione. Si dice, se è vero che si dica, che al cimitero di Rò si accendono lumicini di devozione davanti alla mummia che si trova nel locale ripostiglio del cimitero, cosa che non va per molti motivi. Perché dimenticare padre Martinelli e non ricorrere a lui per avere grazie e miracoli se occorre? L'osservazione è giusta ed è desiderabile che sia intesa nel suo valore. Anno 1937. Sul settimanale Luce, affirma Civis, dal titolo La morte di Leone d'Apergo, conclude che l'atto di San Carlo Borromeo di togliere al culto la mummia Regnano non deve meravigliare, altrettanto fece a Teglio, in Bartellina e in altri luoghi dove trovò in venerazione del popolo reliquie non riconosciute secondo le deliberazioni del Consiglio di Trento. 1939. La relazione della Commissione, nominata nel 1933, pubblica l'esito della ricerca sul settimanale Luce e in uno puscolo della Deputazione di Storia Patria di Regnano, La tomba del popolo di Civesco, Leone d'Apergo, a Regnano.