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During the period from 1940 to 1970, the speaker recounts their involvement in the resistance movement in Legnano, Italy. They describe their efforts to recruit young people to join the clandestine struggle against fascism, organizing strikes in factories, and forming a resistance group. They highlight the unity among different political forces and the challenges they faced in organizing and understanding the complex nature of the fight against fascism. Despite their lack of political preparation, they continued to fight after the fall of fascism, but their shortcomings persisted. The speaker reflects on the sacrifices made by their comrades and the need for greater political education and preparation. Storie di leganesi e la vita del cortile dal 1940 al 1970. L'unica cosa che avevo fatto è stata quella di andare a scriverci un muri con uno stampino no alla guerra. In Corso Garibaldi, dietro al cimo legnano, questa scritta è rimasta fino a pochi anni fa. In quel periodo ho incontrato nuovamente i renegoni che avevano messo in piedi un gruppo comunista esteso a tutto l'alto milanese da Ro fino a Sesto Calende che poi nel luglio del 1944 è confluito nel partito comunista. Di gruppi ce n'erano altri ma i contatti erano molto difficili. Il nostro compito era quello di aggregare nuovi giovani alla lotta clandestina. Allamacchi e Mascheroni del gruppo antifascista interno faceva parte del 20 per 7 per cento degli operai. Questa fabbrica che aveva 120 dipendenti ha dato due partigiani caduti e quattro feriti. Del gruppo partigiano originario in cui entrai nel 1939 sono l'unico ancora vivente. Tutti gli altri sono morti nella lotta di liberazione. In questo gruppo ho lavorato fino al 25 l'uso. Poi dal primo ne è nato un secondo di cui ho fatto parte che aveva il compito di mettere in piedi il partito, il movimento e il sindacato. La nostra preparazione era molto scarsa. Soltanto i renegoni e il Brambilla che sarebbero poi diventati senatori ci fornirono qualche nozione culturale. Comunque siamo riusciti a organizzare gli sciopri del 1943. Io allora ero il responsabile del gruppo giovanile. Eravamo riusciti a coinvolgere tutte le fabbriche tessili e avevamo scioperato compatte con quelle metallurgiche. Con noi c'erano i due compagni, il Guglielmo Landini e Ambrogio Bollini, i quali avevano partecipato agli sciopri del 1929 al codonificio Cantoni. E erano stati gli ultimi in tutta Italia dopo le leggi fasciste. Ci sono stati molto utili. Il compagno Landini era venuto alla riunione del marzo del 1943 in preparazione degli sciopri. Il compagno Bollini era invece stato arrestato nel 1929 e mandato davanti al tribunale speciale e aveva perso il posto di lavoro in fabbrica. Faceva l'aiuto prestinaio qua e là e doveva lavorare tutte le notti. Nel marzo del 1943 abbiamo girato fabbrica dopo fabbrica per organizzare tutti i gruppi. Una riunione decisiva l'abbiamo fatta nel cortile di Via Volturno, dove allora abitavo, in un cortilezzo interno. Per tenere collegamenti con il resto della provincia ci siamo invece trovati nel cortile della Tosi con alcuni compagni che venivano da Milano. Io avevo vent'anni ed era la prima volta che partecipavo a una riunione con compagni che non erano di Legnano. Aramacchi e Mascheroni avevamo sopperato tutti meno uno. All'agosti, chi era vicino alla mia fabbrica, tutte le donne erano rimaste fuori, come pure i dipendenti della Cantoni e della Tosi. Era il primo grande sciopero in una delle potenze di guerra e le reazioni ai tedeschi e ai Mussolini furono violente. Abbiamo anche conosciuto i pregi e i difetti dell'organizzazione e dell'unità con le altre forze politiche. In quel periodo nacque la parola d'ordine della Resistenza. Tutti uniti contro il fascismo. Dopo lo sciopero c'era stato un rafforzamento del movimento organizzato nelle fabbriche. Abbiamo cominciato a organizzare i primi nuclei di fabbrica che all'epoca del 25 luglio lavoravano ormai in tutte le principali fabbriche di Legnano e in molte aziende medie e piccole. I giovani che lavoravano in queste fabbriche erano diventati lo spirito della forza partigiana. Alla Guardia Nazionale che abbiamo creato dopo il 1943 partecipavano tutti quelli che avevano svolto un ruolo dirigente in queste fabbriche durante gli scioperi. Grazie al nostro lavoro si sono avvicinate a noi altri gruppi politici con i quali abbiamo costituito un embrione del futuro CLN. Nella mia fabbrica abbiamo messo in piedi un gruppo nel quale erano rappresentate tutte le forze e si facevano le prime discussioni la mattina quando si entrava in reparto dieci minuti prima di cominciare a lavorare. L'unico fascista che c'era in fabbrica che era un tecnico. L'abbiamo subito isolato. In quello stesso anno abbiamo festeggiato, anche se in forma simbolica, il primo maggio. Era un giorno molto freddo. Per dieci minuti abbiamo fermato il lavoro e ci siamo radunati attorno alle stufe della fabbrica. Alcuni di noi portavano la cravatta rossa. Il 25 luglio, quando è caduto il fascismo, alla mattina siamo andati a Milano in bicicletta. Milano era tutta distrutta. Eravamo un gruppo di giovani. Appena siamo arrivati in corso di Sempione abbiamo visto che tutta la gente si dirigeva verso una casa. Era l'abitazione di uno degli assassini Matteotti. Le migliaia e migliaia di persone si radunavano attorno a quella casa che forse era disabitata. Abbiamo poi girato per Milano. C'era un esercito mobilitato. Poi siamo ritornati portandoci la bicicletta in spalla fino a Quasapero perché sulla strada c'erano macerie e c'era il rischio di rovinare i copertoni delle ruote che erano molto preziosi. Il giorno dopo in fabbrica abbiamo raccontato agli operai quello che avevamo visto. Il fascismo non esisteva più. Nonostante si dicesse che divisioni dell'esercito erano state disposte sulle principali città italiane per paura di un colpo di stato fascista, noi abbiamo sempre detto che il fascismo non c'era più perché era morto nella coscienza del popolo italiano. Quello che ci ha stupito di più era stato vedere un giorno mentre eravamo nella stazione ferroviaria per andare alla manifestazione di Milano che i fascisti più convinti che avevano fatto parte della milizia vestivano gli uniformi di ufficiali dell'esercito. Il governo Badoglio li aveva incorporati nell'esercito italiano. Noi abbiamo capito che la lotta doveva essere ancora dura da parte della monarchia di Badoglio. C'era la volontà di salvare la struttura burocratica del fascismo. Questo episodio ci aveva fatto discutere molto. La domenica sera ci eravamo trovati noi della Macchi e Mascheroni con quelli della Fontana e delle altre fabbriche. E lunedì, tornando al lavoro, abbiamo continuato a riflettere per capire come mai era venuta una cosa del genere. I compagni più vecchi ci hanno spiegato che dovevamo vederne ancora prima di arrivare alla riliberazione, che noi eravamo ingegni a pensare che quelli che avevano il potere avrebbero liquidato il fascismo, che la via era ancora lunga. Poi, poco alla volta, sono intornati tra noi gli antifascisti che avevano subito persecuzioni e i compagni di confine. Abbiamo aperto la sede del sindacato. A noi, che credevamo che con il 25 luglio fosse caduto il fascismo, quest'oro, più preparati e informati, avevano fatto capire come i problemi erano molto più complessi. E lo abbiamo imparato a nostre spese. Tanto è vero che nel gruppo di giovani con cui mi trovavo in quei giorni il Garavaglia e i Vignati sono morti sotto il ponte di San Bernardino, uccisi dai nazifascisti e un altro morto su Appennino Tosco Migliano e un altro ancora è caduto nell'Oltrepo Pavese. La nostra ingegnità, le nostre carenze di impostazione politica, di cultura, di preparazione, si sono trascinate anche dopo il 25 aprile. Alla volontà e all'impegno personale non si univa la capacità di capire a fondo ciò che stava accadendo. I pochi libri che leggevamo durante la resistenza non ci sono serviti molto. Abbiamo lottato a lungo senza il necessario supporto di una necessaria preparazione politica. Sottotitoli e revisione a cura di QTSS

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