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From 1940 to 1970, the speaker recounts stories of their life in the courtyard. They were baptized in 1929 due to pressure from the residents, who convinced their parents to change their names and avoid being expelled from school. The speaker's siblings received additional sacraments, but the speaker only had a baptism. They played games and frequented the local library. They had respect for things, except when hungry. The courtyard had no political or ideological divisions. The speaker's family had socialist or popular beliefs and didn't face any problems due to their anti-fascist views. The speaker joined a partisan group in 1939 and they started by distributing books and creating drawings to express their anti-fascist thoughts. When war was declared, the speaker's mother and other women protested against soldiers leaving for the front. The speaker sensed that Italy would be defeated and believed it would be a disaster if fascism and Nazism won. The older workers at the factory where Storie di Leganesi e la vita del cortile dal 1940 al 1970. A un certo momento nel 1929, dopo il concordato, io e i miei fratelli siamo stati battezzati. I miei genitori erano infatti stati costretti a farlo per motivi di sopravvivenza. In primo luogo per cambiarci i nomi e poi perché c'era il pericolo che ci cacciassero da scuola. Sono stati gli abitanti del cortile che hanno affrontato il problema assieme a convincere i miei genitori a battezzarci. Ai miei fratelli maggiori e a mia sorella hanno fatto fare assieme, oltre al battesimo, la cresima e la prima comunione. A me hanno fatto soltanto il battesimo, a Milano, nel Duomo, dal Cardinale Schuster, un uomo magro come me, che sembrava un filo. Mio fratello ha dovuto anche sposarsi in chiesa, mentre i miei genitori si sono sposati in comune. Loro sono stati costretti così a rinunciare ai loro principi. Ritenevano infatti che ognuno dovesse scegliere di diventare un credente quando avesse avuto l'età della ragione e non perché costretto. All'oratorio io andavo, come gli altri ragazzi, a giocare, e siccome amavo molto la lettura, frequentavo spesso la biblioteca parrocchiale, che era l'unica esistente nella zona. Leggendo alcuni libri e vedendo film nei quali Pelle Rossa erano sempre cattivi e venivano sempre sconfitti, per reazione il mio gruppo aveva scelto, quando si giocava agli indiani, di fare sempre la parte del Pelle Rossa. Non facevamo mai vandalismi. Eravamo così poveri che avevamo rispetto per qualsiasi cosa, tranne che per i frutti del gelso e per le pannocchie di grano turco, quando avevamo fame. Anche perché facevamo una vita sempre a movimento, all'aperto, e ci veniva fame. I nostri giochi non sono mai stati violenti. Soltanto una volta, quando abitavo nel cortile di Via Volturno, ricordo che, giocando con i sassi con cui giocavamo spesso perché non costavano niente, avevamo leso l'occhio di un nostro amico. Ma è stato per sbaglio. Anche tra le diverse bande di cortile non c'erano mai scontri, perché ciascuna banda aveva un suo territorio di azione, ed era così grande che avremmo dovuto percorrere molta strada per incontrare i nemici. Uno dei nostri luoghi preferiti per giocare erano le montagne di detriti e di terra nera delle fonderie che si trovavano vicino alle case della S.A.M. verso San Giorgio. Avevamo visto tutti il film I ragazzi della via Pal, e io avevo anche letto il libro, ma tra noi era molto diverso. Preferevamo giocare a pallone, spesso con una palla di stracci, oppure a palla prigioniera, che giocavamo con le ragazze. Oppure giocavamo a cavallina tagliona. Uno saltava sulle spalle di un altro e poi ci si scontrava e ci si dava delle tagliade, dei colpi per buttare giù l'avversario. In quel periodo io giocavo il riverso, che era una mantellina ricavata dai mantelli che i soldati italiani avevano portato nella prima guerra mondiale. Portavo quella di mio zio, che si chiamava Ruiverso, perché si poteva portare da entrambe le parti. Quando mio zio si è sposato, abbiamo dovuto cambiare casa, perché gli appartamenti nel quartiere di via Palermo li davano soltanto ai dipendenti della Tosi. Nei due locali che avevamo nelle case della Tosi, abitavamo in sette, ma soltanto mio zio lavorava in quella fabbrica, cosa abbiamo perso anche uno di quei pochi divertimenti che potevamo avere senza parlare nulla. Il nostro appartamento si affacciava infatti su un campo sportivo comunale di via Pisacane, in modo tale che si potevano vedere le partite di calcio. Allora il legnano giocava in serie B o in serie A, e in casa mia la domenica pomeriggio veniva un sacco di gente a vedere la partita senza pagare. Oppure per vedere altri spettacoli, come quello dell'uomo forzuto, che si chiamava Ercole Tiberio, che rompeva le catene e sollevava un'automobile da solo. Una volta è venuto anche uno squadrone di cosacchi dell'armata bianca che erano scappati dalla Russia dopo la rivoluzione e giravano nell'Europa esibendosi. Ho visto cose che altrimenti non avrei mai potuto vedere. C'era l'abitudine di andare spesso nelle case degli altri, divisi per fasce di età, perché le case erano piccole e le famiglie numerose. Per cui le signorine si trovavano in una casa, i giovani in un'altra, noi ragazzi in un'altra ancora, e non c'erano divisioni di tipo politico o ideologico. Tutte le famiglie erano di matrice socialista o popolare. Nel cortile c'era un solo fascista che aveva fatto parte dello squadrone d'azione. Altri, naturalmente, si erano iscritti al fascio, ma l'avevano fatto unicamente perché, senza la tessera, non si poteva avere il libretto di lavoro. Nell'animo sono sempre rimasti socialisti o popolari, e non c'erano divisioni tra loro. Anche con i fascisti avevano luogo degli scontri, anche perché i picciatori non agivano mai nelle zone in cui abitavano. A Regnano le azioni squadristiche le facevano i fascisti di Bustarsizio e di Gallarate. Mio padre, che parlava sempre male del duce, non è mai stato denunciato da nessuno in cortile e non ha mai avuto grane. Anche tra cattolici e socialisti non c'erano grosse distinzioni, perché il problema principale era combattere il fascismo. In casa mia Sturzo veniva presentato come un antifascista, anche se poi, dopo la guerra, ho assunto posizioni ben diverse da quelle originarie. Le distinzioni le hanno create dall'esterno, dopo la guerra. Prima non c'erano. Neanche nel modo di comportarsi e di educare. Mio padre usciva la domenica con gli amici che erano cattolici. C'era il rispetto per le persone coerenti e mio padre era amato da tutti. È in questo contesto che è maturata la mia formazione politica. Fondamentale è stata la famiglia, di cui si è sempre respirato antifascismo. Non è stato quindi difficile per me fare certe scelte, perché erano già dentro nel mio modo di vivere. Mi sono avvicinato al primo gruppo partigiano nel 1939, quando avevo 16 anni. Eravamo un gruppo di giovani che si erano conosciuti a scuola o sul lavoro, che si incontravano quotidianamente. La prima iniziativa che abbiamo messo in piedi è stata quella di diffondere dei libri, perché allora era molto difficile trovare dei libri. Avevamo reperito qualche coppia del Tallone di Ferro, di London, o della Madre di Gorky, o qualche altro. E abbiamo fatto una piccola biblioteca. Quei pochi libri, che ci avevano dato qualche compagno più anziano, hanno girato molte case. Inoltre, poiché molti non sapevano leggere, abbiamo preparato 35 disegni in cui esprimavamo il nostro pensiero contro il fascismo e li facevamo girare. Poi, con della carta trasparente, ne abbiamo fatto altre copie. Con una lanterna magica le proiettavamo sul muro. Quando è stata dichiarata la guerra, l'unico che possedeva una ragio nel cortile era un fascista. Siccome si sapeva che ci sarebbe stata la dichiarazione, siamo andati a casa sua. La porta era aperta perché era il mese di giugno e la gente non ci stava tutta nel locale. Quando la voce del duce ha annunciato che l'Italia era in guerra, mia madre e altre donne, che avevano già subito l'altra guerra, allora si erano sdraiate sui binari per impedire ai soldati di partire per le fronte. Sono scoppiate a piangere. Io allora non capivo molto di quello che stava succedendo perché era solo da poco, più di un anno, che mi occupavo di politica. E sulla prima guerra mondiale avevo sentito raccontare solo qualche cosa delle donne in cortile. Ricordo che talvolta parlavano della spriola, l'influenza che c'era stata allora ed aveva fatto molte vittime. Il pianto di quelle donne per me ha significato molto. Anche se quel fascista un po' sproveduto diceva che eravamo entrati i 125 chilometri nell'isola di Malta e avanzavamo su tutti i fronti, in me era chiara la convinzione di una sconfitta italiana. Perché l'istinto mi diceva che sarebbe stato un guaio se avessimo vinto il fascismo e il nazismo. Poiché il notiziario della radio c'era stato a luna, subito dopo sono andato al lavoro. E in fabbrica, tranne qualche isolato caso di euforia, gli operai più anziani, che sarebbero poi diventati parte integrante del partito e del movimento partigiano alla Macchi e alla Mascheroni, han capito la gravità del fatto e han cercato di spiegarlo a noi. Mai una guerra è stata in popolare come quella. Prima di tutto perché non siamo un popolo di guerrieri e poi perché nelle nostre zone prevaleva lo spirito antitedesco. Penso tuttavia che le nostre madri avessero pianto lo stesso giorno anche se avessimo fatto la guerra alla Germania. Perché le madri non vogliono che i loro figli vadano a morire per una guerra che non comprendono. Sottotitoli creati dalla comunità Amara.org