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QGLN1193-Lago-Varese-02

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redigio.it/dati2512/QGLN1193-Lago-Varese-02.mp3 - Il Lago di varese - 9,10 -

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Transcription

The transcription is about the history of silk production in Varese, Italy. In the months of May and June, people would collect silk moth eggs and hatch them on frames made of lake reeds. The caterpillars would feed on chalk leaves and eventually spin silk cocoons. The silk produced from these cocoons was used for various purposes. The cultivation of chalk plants was necessary for the caterpillars' diet, but it was often attacked by harmful insects. The transcription also mentions various dialectal terms and expressions related to silk production. The text ends by mentioning the current decline of agricultural activities in the area and the importance of preserving this tradition. The history of the lake continues in the next installment. www.redigio.it E la storia continua. Il lago di Varese Chi non lavorava in Finlanda, ma aveva a disposizione un apprezzamento di terreno, nei mesi di maggio e giugno si procurava le uova di femmina di bacco da seta e le faceva schiudere sui graticci, fornate con cannucce di lago e sistemate in appositi locali ben disinfettati. I bruchi, usciti dalle uova, si cibavano esclusivamente di foglie di gesso. Diventati grandi, i bacchi andavano nel bosco, cioè si avvolgevano in bozzoli ovali posti su massi di arbusti o su fruttici, come il brugo. Culuna vulgaris. Il filoserico prodotto dal vago costituiva la materia prima per la lavorazione della seta, dopo che erano state apportate a termine molte altre fasi di preparazione e lavorazione dei bozzoli. Si calcola che ogni bozzolo poteva fornire, a seconda delle sue dimensioni, da 300 a 1500 metri di filo. Si può capire come questo lavoro fosse sì faticoso, ma anche remunerativo, se fatto in proprio. Il prodotto in parte veniva venduto e in parte utilizzato direttamente dalle donne. Non è certo difficile trovare, nella dote delle spose di Borghiato e di Casbeno, trapunte e coperte lavorate dalle loro mamme o nonne, confilato o tenuto dall'allevamento dei bigatti, detti anche cavaleri. Questi termini dialettali, con la cessazione delle attività, oggi completamente cadute in disuso, come una lunga serie di espressioni, frasi e detti collegati con la bacchicoltura. Ad esempio, Bigatti che tacchèn bene il bus, erano i bacchi che filavano bene. I bigatti quartini erano i bacchi che avevano subito le loro usuali quattro mute. Mentre dei bacchi caduti per terra, o comunque intestiti, si diceva che erano un ospedale dei bigatti. I bigatti gialdoni non facevano bossoli, mentre i bigatti lusire erano quelli primatici. Si arrivava persino a stabilire delle vere e proprie unità di misura. Infatti, per i contadini, un dita de sumenza dei bigatti, cioè la quantità di uova di bacchi che poteva riempire un ditale di media grandezza, equivaleva a circa un dodicesimo di oncia. Un oncia erano 30 grammi. Fondamentalmente era naturale la coltivazione del gesso, pianta appartenente al genere morus, in dialetto il muron, unica fonte di nutrimento per i bacchi, ma spesso attaccata dalla dannosissima cocciniglia bianca. La specie di morus era numerosissima e ciascuna, pur avendo una sua denominazione scientifica, era chiamata dai nostri contadini con curiose espressioni di diarettari. I muron bianche e neger erano i più coltivati, ma non mancavano il muron desceis, nano, da siepe, il padovan, il piazentin, lo spagnol, eccetera. Sentare il gesso in un campo si diceva il murunà. Le due specie più diffuse, il morus alba e il morus nigra, avevano origini differenti. La prima appare fosse coltivata in Estremo Oriente fin dal V millennio a.C. La seconda invece era tipica dell'ambiente mediterraneo, ma mentre il morus nigra era coltivata più per i suoi frutti commestibili, il morus alba risultò di qualità superiore per l'allevamento dell'acqua da seta. Oggi è ancora possibile rinvenire qua e là qualche sparuto gesso, sui terreni che scendono verso il lago, relitti vegetali di un'età definitivamente scomparsa. La Varese si attraversa la parte alta di Casveno e si sfiora per raggiungere il lago, la grande villa dei Marchesi Re Calcati del secolo XVIII e poi dei Conti Morosini, e trasformata successivamente nel grande Hotel Excelsior, vieta del turismo della belle epoca e ora sede della prefettura e dell'amministrazione provinciale. Nella villa fu costruito per diversi anni, in onurna il cuore d'Italio Cosciuzzo, generale patriota polacco, che fu amico della famiglia Morosini. Si dice anche che in quelle stanze Giuseppe Verdi abbia composto alcune parti dell'opera in lombardi alla prima cruciata. Le presi di Villa Re Calcati, proprio per il divertimento dei turisti, fu allestito sul fine dell'Ottocento da uno dei primi ipodromi d'Italia. Alla testa del cimitero di Casveno la strada si bifurca, ma entrambe le diramazioni portano al lago. Se si invoca quella di sinistra, aperta non molti anni o sono, il paesaggio è prevalentemente contrassegnato da ville recenti e vecchie cascine, ancora oggi abitate dagli ultimi contadini della città. I prodotti ortofrutticoli dei Casvenat, su carretti trainati da cavalli e da zinelli, hanno risalito per secoli i terrazzi coltivati dalla vecchia Casbenno per essere venduti a mercato di Varese. Attualmente gli anelli di ferro infissi sul lato occidentale di Piazza Mercato, che oggi è Repubblica, non vedono più le cavezze, perché il trasporto su trattore e camioncini è certamente più rapido, ma il latoghino o suncin, che è la valeria nella locusta, sono sempre gli stessi. La prerogativa dei Casbenat, di discorre di primizie già sul finire dell'inverno, è sicuramente favorita dalla particolare posizione dei terreni rivolti a sulti. Inoltre i coltivi sono protetti durante l'inverno dai ripari spioventi, detti paia, perché fatti di cannucce di lago, ma anche di materie plastiche. La speculazione edilizia e la scarsa vedutezza degli amministratori stanno sempre di più restringendo gli spazi di un'attività agricola tuttora fiorente. Si rischia così di soffocare una tradizione che ancora oggi può trovare la sua ragione d'essere anche sul piano economico. La felice esposizione dei terreni di Casveno ha avuto in passato testimonianze interessanti, anche se eccezionali, come quella del cronista varesino Giulio Tatto che nel 1618 ottobre annotava. Al fine di detto mese si sono visti in molti lochi e particolarmente nel orto di Casveno le piante dei peri bon cristiani fioriti come se fosse di prima vera e hanno durato sino alla fine del mese seguente di novembre, cosa non mai vista. Ma la storia del lago non finisce qui perché continua con la prossima puntata. www.redigio.it E la storia continua.

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